Quel 30 Novembre 1999, quando migliaia di persone si riuniscono davanti al Washington State Convention and Trade Center di Seattle, luogo della conferenza dell’OMC (Organizzazione mondiale del commercio) che sarebbe servita a ridefinire e rinnovare i rapporti commerciali internazionali, sembrava il giorno della nascita di una nuova epoca ideologica, epoca che con la caduta del muro di Berlino – avvenuta appena 10 anni prima – sembrava destinata a scomparire per sempre.
Giovani, uomini e donne di mezza età e anziani, cittadini comuni, organizzazioni non governative, movimenti ambientalisti e sindacati, sono solo alcuni dei protagonisti di quella nuova ideologia che, sul finire del XX secolo – già padre e orfano allo stesso tempo dei grandi movimenti politici di massa – voleva smuovere, ancora una volta, le coscienze di quella popolazione perlopiù ignava che si lasciava trastullare dagli eventi del mondo. Intento che per quanto nobile e quasi romantico, falli miseramente (o quasi). La protesta finii come finiscono tutte le manifestazioni, ovvero ordini di caricare; la polizia carica, i manifestanti, o meglio le “frange violente” che assumono sempre il volto ormai riconoscibile nel suo essere un non-volto denominato all’unisono Black bloc, caricano. Feriti, arresti, generalmente tutti manifestanti puliti, nessun famigerato Black bloc. Si potrebbe scrivere pagine su quello che successe quel giorno ma, anche nella confusione dello scontro, è doveroso dare uno sguardo ai punti di domanda che quel movimento che prese il nome iniziale di Popolo di Seattle e poi successivamente di movimento No-global decise di sollevare.
Se la globalizzazione neoliberista oggi è realtà, al tempo sembrava ancora qualcosa da poter combattere. Lo strapotere delle multinazionali era il centro del progetto No-global, esse venivano infatti accusate di sfruttare i buchi normativi e di diritto dei paesi sotto sviluppati o in via di sviluppo riducendoli così a condizioni inumane; tramite lo sfruttamento del lavoro minorile, la devastazione del territorio, il favoreggiamento di guerre sia interne che esterne allo stesso, la corruzione degli organi dello Stato da esse occupato. Tutto questo con il supporto dei Governi occidentali.
Dunque da queste poche righe si può vedere l’intensità degli argomenti portati avanti: il diritto al lavoro dignitoso, lo sfruttamento minorile, i diritti e lo sfruttamento delle minoranze, l’ambientalismo. Solo per farne risaltare alcuni.
All’inizio dell’articolo ho scritto “sembrava” e, mi verrà contestato, perché nonostante l’ormai tristemente famoso G8 di Genova – di cui quest’anno è ricorso il ventennio – il movimento No-global è tutt’altro che morto, vero, ma è fallito. I media “tradizionali” hanno letteralmente lavato le coscienze; le multinazionali fanno ancora quelle cose ma la popolazione ignava ha preso il sopravvento, i diritti del lavoro sono scemati in modo quasi definitivo anche nelle democrazie occidentali. I diritti delle minoranze sono usciti totalmente dal loro intento di dare vita dignitosa e sono diventati utile campagna di reclutamento per nuovi schiavi del lavoro, sottopagati e sfruttati fino allo sfinimento. L’ambientalismo che fu punta di diamante delle lotte alle multinazionali è diventato invece la spada di Damocle che esse hanno sull’intera popolazione, creando per giunta un’assurda spaccatura tra chi si oppone completamente al concetto di salvaguardia dell’ambiente e chi invece ne è assuefatto totalmente, ma solo nel senso voluto da chi lo ha già devastato per i propri interessi. La “rivoluzione verde”, la rinascita ambientale, ora, non può prescindere dal suo omicida, che fa così il bello e il cattivo tempo di una quarta rivoluzione industriale già in atto, e che, come storia ci insegna sarà sanguinosa, ma solo per il popolo.
Tutti o quasi, gli argomenti che hanno formato un’ideologia mai nata sono andati a nutrire un’altra ideologia, che ne ha compreso, assorbito e sfruttato al meglio il potenziale latente, quella neoliberale dominata dalle industrie che ora non ha più il suo territorio di conquista solo nei paesi del terzo mondo, ma si è spostata anche nei paesi considerati ricchi, nel senso – e scusate l’ironia – che sono ricchi di nuovi poveri.
Dunque, al netto di quello che è stato quel 30 Novembre del secolo breve, non possiamo non continuare a domandarci noi figli del secolo nuovo; è davvero mai stato possibile un nuovo mondo? e se la risposta è si, sarà mai possibile un nuovo mondo?