Ogni emergenza in Italia, vera o percepita, genera la stessa risposta: un nuovo reato, o una nuova aggravante, o l’aumento delle pene. È accaduto di nuovo con il recente Decreto Sicurezza, che introduce 14 nuovi reati e 9 aggravanti, con l’obiettivo dichiarato di contrastare degrado urbano, violenza e insicurezza.
Peccato che questa strategia non funzioni.
Perché nessun delinquente si lascia fermare dal rischio di “due anni in più”. Perché nessuna norma repressiva produce sicurezza se poi, nei quartieri a rischio, non c’è nemmeno una volante. Perché puoi scrivere le leggi più severe del mondo, ma se non hai uomini, mezzi, e una giustizia che funziona con certezza e rapidità, il sistema implode. O peggio: si finge di agire, mentre si lascia tutto com’è.
Tra le novità del decreto: l’introduzione del reato per chi blocca strade o binari, l’inasprimento delle pene per le occupazioni abusive, la repressione delle “manifestazioni invasive” come i rave o i cortei non autorizzati. Tutto lecito in linea di principio. Ma tutto perfettamente inutile se non accompagnato da una vera strategia. La sicurezza non è una questione di codice penale, ma di territorio.
E allora la domanda vera è: dov’è lo Stato? Dov’è nelle periferie abbandonate, dove i servizi sociali sono ridotti al minimo e le forze dell’ordine sono numericamente insufficienti? Dov’è nei quartieri dove si alternano microcriminalità, spaccio e vandalismo, ma non si vede una pattuglia nemmeno per sbaglio? Dov’è nelle stazioni, nei sottopassi, nei parchi cittadini, nelle aree che tutti evitano e dove l’unica presenza costante è quella dell’insicurezza?
La risposta dovrebbe essere una sola: lo Stato deve esserci. E per esserci non basta un decreto legge. Servono investimenti reali e strutturali: più agenti, più carabinieri, più presidi, più caserme aperte, più presenza fisica e visibile nelle strade. Servono fondi per riqualificare i quartieri degradati, per ridare senso civico e funzione pubblica a luoghi che oggi sono terra di nessuno. Serve una giustizia più rapida, processi che arrivino in tempi certi a una conclusione certa, e pene che vengano effettivamente scontate.
La vera deterrenza non nasce dalla paura di una pena più lunga, ma dalla consapevolezza che quella pena arriverà davvero. Che non ci saranno scappatoie, che il reato non cadrà in prescrizione, che la macchina giudiziaria funzionerà come in uno Stato serio. Oggi invece il messaggio che passa è opposto: la pena si promette, ma non si applica. Il reato si inasprisce, ma resta impunito. Il decreto si scrive, ma la pattuglia non arriva.
E così si continua a legiferare sull’onda dell’emozione, come se la sicurezza fosse un tema da talk show. Invece è materia da riforma profonda, da pianificazione pubblica, da investimento strategico. Servono meno annunci e più presenza. Meno propaganda e più uomini sul campo. Meno norme simboliche e più Stato reale.
Perché l’insicurezza non si arresta con un comunicato stampa, ma con un lampeggiante all’angolo della strada