Addio a Roberto Calasso, il cuore pulsante di Adelphi

“Le storie non vivono mai solitarie: sono rami di una famiglia, che occorre risalire all’indietro e in avanti”.

Oggi il mondo dell’editoria e della cultura piange la scomparsa di Roberto Calasso, editore e direttore editoriale della prestigiosa casa editrice Adelphi, scomparso a Milano all’età di 80 anni, dopo aver lottato strenuamente e a lungo contro una tremenda malattia. A darne la notizia, attraverso i vari canali social, sono proprio i compagni e i colleghi di sempre, i quali hanno voluto spendere parole di dolore e di riconoscenza per un uomo che è stato, prima di tutto, un fratello.

La casa editrice Adelphi, infatti, fondata nel capoluogo lombardo nel 1962 da Luciano Foà e Roberto Olivetti, trova nel nome già una forte e potente dichiarazione dei propri intenti: il termine “adelphi” è una parola greca (ἀδελφοί) e significa proprio “fratelli, solidali”, ed esprime chiaramente la necessità di mantenere una comunicanza d’intenti fra i fondatori. Una famiglia, dunque, ancor prima di un’impresa.

Roberto Calasso condivideva appieno questa idea sui generis di impresa, tanto da prendere parte, nel 1962, a un piccolo gruppetto di persone – formato, oltre ai già sopracitati Foà e Olivetti, anche da Roberto “Bobi” Bazlen – che ha in mente un programma ben preciso di una nuova casa editrice, un’azienda che assommi in sé due aspetti fondamentali e imprescindibili: l’arte e l’impresa, l’industria e la cultura. A soli 21 anni, dunque, Calasso era già titolare di idee che avrebbero completamente rivoluzionato le sorti di una delle attività editoriali più influenti del mercato italiano e, perché no, anche internazionale. Un’idea tutta diversa e innovativa, la sua, di editoria. Adelphi, infatti, nacque come una realtà editoriale che prendeva nettamente le distanze dalle altre case editrici egemoni sorte nei decenni precedenti, in particolar modo dall’allora predominante Einaudi. Di questo Calasso è sempre stato un fiero sostenitore: “Non fummo un’appendice di Einaudi, ma al contrario rappresentammo un rovesciamento d’asse culturale. Non più sulla linea Gramsci – Lukacs – Brecht – elenco di santi cui comunemente votarsi – ma sulla linea Schopenhauer – Nietzsche, autori di cui non si poteva allora parlare”.

Nato a Firenze il 20 maggio 1941, Calasso si diploma presso il Liceo Classico Torquato Tasso di Roma, per poi ottenere una laurea in Letteratura inglese con il saggista, scrittore e critico letterario Mario Praz, discutendo una tesi sulla figura del filosofo britannico Sir Thomas Browne. Si appassiona fin da subito all’ambito filosofico, pur sviluppando, negli anni, un profondo interesse per i più disparati campi della cultura letteraria, dalla narrativa alla saggistica.

Calasso entra a far parte del gruppo Adelphi nell’anno della sua fondazione, operando senza interruzione fino al 1971, quando ottiene il ruolo di direttore editoriale. Nel 1990 diventa consigliere delegato e, dal 1999, anche presidente. Riferiva così, in un’intervista rilasciata al “Corriere della sera”, l’inizio della sua avventura durata tutta una vita: “Luciano Foà aveva lasciato l’Einaudi (di cui era stato segretario generale) e insieme a Roberto Olivetti, il 20 giugno 1962, aveva fondato questa nuova casa editrice il cui programma era in gran parte nella mente di Roberto Bazlen. Foà era amico di Bazlen, e voleva fare con lui certi libri che altrimenti non si riuscivano a fare. Quanto a me, venni coinvolto nel 1962, quando il nome Adelphi non era ancora stato trovato”.

La sua è stata una militanza intimamente attiva, dettata soprattutto da un profondo amore per i libri, che l’ha accompagnato fin dalle origini: “Sono nato in mezzo ai libri. Mio padre (il giurista Roberto Calasso), che era storico del diritto, lavorava per lo più su testi stampati fra l’inizio del Cinquecento e la metà del Settecento. Molti erano i volumi in-folio. Impossibile non vederli. Anche mio nonno Ernesto Codignola, che insegnava Filosofia all’Università di Firenze e fondò la casa editrice La Nuova Italia, aveva una biblioteca notevole, soprattutto di storia e filosofia, oggi incorporata nella biblioteca della Scuola Normale di Pisa”. Un destino segnato, pertanto, il suo.

Ma Calasso è stato molto più di questo: editore, saggista, traduttore e anche narratore. Come scrittore, il suo più grande successo arriva nel 1988, quando sbarca sul mercato librario la sua opera più celebre, che ha addirittura rivoluzionato il genere della mitografia in Italia: “Le nozze di Cadmo e Armonia”. Ricordiamo, altresì, opere quali “Ka” (1996), “K.” (2002), “La Folie Baudelaire” (2008) e “L’impronta dell’editore” (2013). I suoi libri, per di più, sono stati tradotti in 25 lingue e pubblicati in 28 paesi.  

Si può affermare, dunque, e senza ombra di dubbio, come la sua sia stata una figura carismatica e, per così dire, “tuttofare”, seguendo quella definizione di editore ideale fornita dall’intellettuale antifascista Piero Gobetti. Un uomo che non si è limitato a un solo ruolo, ma che ha avuto l’ardire di mettersi in gioco in più contesti e nelle più svariate forme, divenendo il mito che oggi tutti piangiamo.

Un uomo che ha saputo far del bene, fino alla fine dei suoi giorni. Appare curioso, in tal senso, il fatto che abbia abdicato da questa vita terrena proprio nel giorno in cui sono usciti i suoi ultimi libri: “Bobi” e “Memé Scianca”, entrambi facenti parte della collana “Piccola biblioteca Adelphi”; si tratta di due memoirs che ripercorrono, rispettivamente, l’infanzia fiorentina e l’incontro determinante con il sopracitato Bobi Bazlen. Una sorta di testamento lasciato ai postumi, che appare – in questo giorno più che mai – di grande consolazione. È doveroso ricordarlo attraverso le sue stesse parole che racchiudono, più di tutte, il cuore pulsante del suo impegno editoriale: “(la casa editrice) è un ramo secondario dell’industria nel quale si tenta di fare del denaro pubblicando libri. E cosa dovrebbe essere una buona casa editrice? Una buona casa editrice sarebbe – se mi è concessa la tautologia – quella che si suppone pubblichi, per quanto possibile, solo buoni libri”.

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