Africa, ritorno al 1884

Le grandi potenze del sistema internazionale sono alla ricerca di quello che viene popolarmente chiamato un “posto al Sole“. Il continente africano, per una serie di peculiarità – tra le quali le ricchezze del sottosuolo –, diventa la meta prediletta dei disegni egemonici di chiunque abbia eserciti e denaro in abbondanza. Disegni perseguiti attraverso capitalismo di rapina, guerre, divide et impera e diplomazie del corteggiamento. Sulle spalle dell’Africa.

Le grandi potenze del sistema internazionale sono alla ricerca di un posto al Sole. Alcune lo vorrebbero in Africa occidentale, così da avere un balcone sull’Atlantico. Altre hanno posato gli occhi sul Corno, perché significherebbe avere una voce in capitolo sulle rotte che collegano Europa e Asia via Oceano Indiano. E altre ancora non sanno bene cosa vogliono, se una sfera d’influenza nel Maghreb o se dei satelliti sotto il Sahara.

Le grandi potenze del sistema internazionale sono alla ricerca di un posto al Sole. E no, non sono gli anni della corsa all’Africa e della conferenza di Berlino sulla spartizione dell’Africa occidentale. È oggi. È lo Scramble for Africa 3.0. È il ritorno al 1884.

Lo scontro tra Afriche

L’Africa è il continente in cui la Guerra fredda non è mai finita. A lungo dimenticato, tra Guerra al Terrore e ritorno alla conflittualità con la Russia, il capitolo africano della Guerra fredda è proseguito sotto gli occhi distratti di Stati Uniti e alleati.

Le differenze rispetto al passato sono tante, a partire dalla geografia dei giocatori – tanta Asia, poca Europa –, come lo sono anche le similitudini, dall’onnipresente colonialismo economico alle guerre civili a orologeria. Scramble for Africa 3.0.

Una delle principali novità del capitolo africano della Terza guerra mondiale a pezzi è la marcia indietro dell’Europa. Perché se è vero che proliferano le “agende per l’Africa” partorite dagli stati europei, dall’Ungheria all’Italia, lo è altrettanto che le lingue che ivi vanno diffondendosi con maggiore rapidità sono cinese, russo e turco.

La Françafrique, creazione dell’immor(t)ale Jacques Foccart, va lentamente morendo. La Cinafrica, la Turcafrica e la Russafrica crescono e prosperano. Italia non pervenuta – causa ritirata dalla Libia e ingresso della Turchia nel resto del fu spazio imperiale nostrano. Stati Uniti in affanno – perché, oggi come ieri, faticano a capire l’Africa e le sue dinamiche.

L’Africa è tutto

Africa, continente dei miracoli geologici e campo minato dove ogni passo potrebbe essere l’ultimo. Avere una o più sfere di influenza al suo interno equivale ad avere una voce in capitolo nel continente di cui si intravede l’alba e che ospita la maggiore agglomerazione di risorse naturali del pianeta.

Ignorare l’importanza del fattore abbondanza è condannarsi a non capire origini e ragioni della corsa all’Africa e della sua riedizione contemporanea (e di quelle future). Perché si scrive Africa ma si legge metalli del gruppo del platino – 90% dei giacimenti globali –, alluminio – 32% del mercato mondiale –, gas e petrolio – rispettivamente 13% e 7% delle riserve planetarie. Perché si scrive Africa, ma si legge rame, diamanti e uranio. Perché si scrive Africa, ma si legge terre rare – la più grande concentrazione conosciuta di questi metalli è tra Kinshasa e Città del Capo.

Tutti pazzi per l’Africa

La Francia è in Africa per difendere quel che resta del morente spazio imperiale, che viene tenuto in vita con la forza – più di 70 operazioni militari in oltre 20 paesi nel periodo 1946-2022 – e ricorrendo a pratiche neocoloniali – come il Franco CFA – e alla militarizzazione della cooperazione allo sviluppo – 2,9 miliardi di euro nel 2020.

La Russia è (tornata) in Africa per raccogliere ciò che fu seminato dalla sua mamma oggi defunta, l’Unione Sovietica, perché tanto può essere fatto in un continente che ti è debitore per la decolonizzazione. E tanto il Cremlino sta facendo: colpi di stato – dal Burkina Faso al Mali –, sicurezza – Gruppo Wagner presente in 11 paesi (2021) –, investimenti strategici – Gazprom, Lukoil e Rosatom hanno dei monopoli informali nei loro settori di riferimento in Africa – e commercio – la Russia soddisfa il 40% del fabbisogno cerealicolo del continente.

La Cina è in Africa, dove è entrata durante la Guerra fredda e non è più uscita, per dotare le Nuove vie della seta di uno sbocco sull’Atlantico – testa di ponte per uno sbarco nell’emisfero occidentale –, per ottemperare all’obiettivo di mantenere l’egemonia nelle catene del valore delle terre rare, per cercare alleati utili alla transizione multipolare e, ultimo ma non meno importante, per ipotecare il proprio futuro. Giacché l’Impero celeste, agente e pensante su orizzonti temporali lunghi, guarda già al 2049 e oltre.

La Turchia è in Africa nell’ambito della ricostruzione di uno spazio imperiale cosmopolita e transcontinentale. Progetto che l’ha portata a siglare accordi di cooperazione bilaterale con più di 35 paesi, a stabilire consigli affaristici con 45, a quintuplicare l’interscambio con l’intero continente – da 5,4 miliardi di dollari (2003) a 25,3 (2020) – e ad espandere straordinariamente la propria rete diplomatica – ambasciate cresciute da 12 (2002) a 43 (2021).

A fare da sfondo allo scontro tra giganti, al quale vanno unendosi anche gli Stati Uniti – eloquente, a tal proposito, il summit per l’Africa organizzato dalla presidenza Biden nel 2022 –, tante piccole, medie ed emergenti potenze hanno messo piede nel continente con l’obiettivo di restarci. Il Brasile che prova a sostituirsi al Portogallo nello spazio afrolusofono. L’India che non vuole restare senza un posto al Sole. Israele. Iran. Petromonarchie della penisola arabica. Giappone. Ungheria. Tutti pazzi per l’Africa.

L’Africa, in pieno boom demografico (ed economico), potrà beneficiare del rinnovato interesse per le sue risorse a patto di rivelarsi in grado di stringere accordi di natura vincente-vincente e di avere la forza (e la coscienza) di resistere ai nuovi colonialismi.

Come la Guerra fredda fu un’occasione unica per liberarsi dalle catene dell’imperialismo, così la transizione multipolare potrebbe essere un’opportunità irripetibile per sciogliere gli ultimi nodi del secolo passato e per gettare le fondamenta del secolo africano. All’Africa l’onere-onere di non cedere alla chimera delle egemonie benevole. All’Africa la fatidica scelta: ritorno al 1884 o salto nel futuro.

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