Al Gran Bazar, il miglior offerente per la lira turca

E rieccoci con il binocolo puntato nuovamente verso la Turchia. Questa volta a farla da padrona è la lira, la moneta turca, in crisi da ormai troppo tempo. Sempre costellata da andamenti alti e bassi nel grande mercato dei Paesi emergenti, aveva trovato un modo per rimanere a galla dal 2017. Con il golpe turco, l’economia turca aveva subito una crisi non indifferente, collegata soprattutto alla figura del presidente Erdoğan un po’ ingombrante a causa dei suoi ideali.

Come è noto ormai da tanto, la Turchia è una tirannia rivestita da Repubblica, dunque tutto deve essere controllato dal presidente. E se le cose non piacciono, stiamo pur certi che si viene segati in men che non si dica. Questa è la sorte capitata a molti esponenti politici del governo turco, ma non solo…

Ad oggi, ci si concentra sull’ultimo governatore della Banca Centrale Turca, Naci Agbal, il terzo rimosso in meno di due anni dal caro presidente, successore del Ministro delle Finanze uscente Mehmet Şimşek. Ex funzionario del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) che ha servito come Ministro delle Finanze tra il 2015 e il 2018, nella sua prima dichiarazione ha affermato che l’economia turca stava entrando in un nuovo periodo di “riforme” e il governo non si sarebbe mai allontanato dai principi della disciplina finanziaria. Ha sottolineato la necessità di creare una solida infrastruttura finanziaria per far avanzare la crescita economica. Il 7 novembre 2020, è stato nominato governatore della Banca centrale della Turchia, in sostituzione di Murat Uysal (novembre 2019), che è stato in grado di fermare la caduta della lira turca con una perdita di oltre il 40% nei confronti del dollaro dal gennaio 2020.

Sia Şimşek che Agbal operavano secondo il conservatorismo fiscale, una filosofia politica ed economica che sostiene tasse basse, spesa pubblica ridotta e debito pubblico minimo. Un termine che ha origini in America nell’era del New Deal degli anni ’30. Mentre il predecessore di Uysal, Çetinkaya, aveva adottato nel 2019 una politica monetaria ortodossa, ovvero il rialzo dei tassi di interesse, molto dannosa secondo Erdoğan alla politica della Banca Centrale Turca.

In fin dei conti, importa molto poco chi decide la politica monetaria. Essa per sopravvivere deve essere indipendente, dunque si esige che i due termini debbano essere separati altrimenti perde di credibilità. La moneta non può avere un sovrano perché, se il sovrano è ben accetto la moneta asseconda la produzione e il commercio, quindi mantiene il suo valore effettivo. Se invece il sovrano non ha consensi e la moneta diventa uno strumento per risolvere i suoi problemi, ovviamente questa crolla.

Purtroppo, il partito AKP non si è accorto che l’economia turca sta andando in rovina non per ragioni occidentali che, a detta loro, sono sempre pronti a condannare e mai ad aiutarli. Pur avendo adottato una politica presidenziale, ormai, di tradizione occidentale tra l’altro, la nazione è controllata da una vera e propria dittatura, costituita da persone che non riescono forse a comprendere appieno i bisogni reali e concreti. Fa paura a tutti andare in Turchia per un semplice viaggio di piacere e/o lavorativo. Si sa quando parti, ma non si sa quando torni e se torni…

È tutta una questione di tradizioni e di religioni, messa in mezzo come “deus ex machina”. Questo atteggiamento, le leggi e regolamentazioni in continuo deterioramento portano a non investire più nella Turchia come Paese emergente e l’inflazione aumenta. In più, è sempre al centro di scandali come persone imprigionate a caso senza avere nessun processo e molto altro ancora.

Dunque, tutto il sacrificio dei grandi capi della Turchia – di Atatürk in particolare – di avvicinare la nazione all’Europa ed un giorno coronare il sogno di entrarne a far parte si è vanificato. La moneta in questione ha avuto due periodi: il primo periodo dal 1923 al 2005 la lira valeva quanto un dollaro o addirittura quanto un franco francese e la sterlina britannica. Dal 2005 ad oggi ha subito un crollo non indifferente. Tutto questo è dovuto alle continue riforme economiche e sociali che ha subito il paese, rendendo tutto privato e sotto il regime dell’oligopolio.

Ad oggi quindi è conveniente investire sulla lira turca? L’andamento è chiaramente negativo da più di 10 anni, ma bisogna sempre valutare i pro e i contro che in questo caso viaggiano paralleli. La Turchia è una nazione molto interessante, certamente per le sue tradizioni da comprendere e da capire; è gigantesca, quindi a differenza dei paesi occidentali ha un forte incremento della popolazione. Se cresce la popolazione e, dunque, la domanda interna lo fa anche la produzione interna, nonostante ci siano ancora dei deficit commerciali significativi. Dopo il golpe del 2016, il paese è andato avanti ad espandersi e gli investimenti stranieri sono cresciuti. La nota dolente è stata, e continuerà ad esserlo, l’incertezza politica in cui continua a navigare. I settori che ne risentono sono quelli del turismo, anche alla luce del Covid-19, nonostante si sappia che la Turchia stia affrontando bene la situazione e i contagi rimangono contenuti (almeno quelli dichiarati! Ma qui la pecca non è solo sua…). Un altro problema da considerare è la crescente disoccupazione: nel 2017 risultava che solo il 52% della popolazione lavorava, anche se il governo aveva attuato una “campagna nazionale per l’occupazione”.

Infine, c’è lui: Erdoğan che sta tentando a tutti i costi di ottenere sempre più maggior controllo su ogni cosa. A cominciare dai media, dalle organizzazioni statali, la magistratura, la libertà di stampa e i diritti dell’uomo (in particolare quelli delle donne escludendo la nazione dalla Convenzione); per non parlare dei problemi – però da sempre esistiti e mai concretamente risolti – con la popolazione curda e armena, con cui le relazioni sono tutt’oggi fortemente aspre.

Impatto sulle future elezioni.

Nel 2023 dovrebbero tenersi nuovamente le elezioni presidenziali e l’attuale capo di stato si mostra alquanto preoccupato. Alcuni sondaggi dicono che Erdoğan e il suo partito, pur contando i voti degli alleati del Partito del Movimento Nazionalista (Mhp), non riuscirà a raggiungere il 51%, maggioranza necessaria per governare il Paese. Dunque, qual è la soluzione che si manifesta essere la più pratica? Modificare la legge elettorale e allearsi con il lato conservatore della società turca. Non è tutto: nei giorni scorsi, il procuratore generale ha fatto richiesta di chiudere il Partito Democratico dei Popoli (HDP) filocurdo e di sinistra, terza maggiore forza politica del paese.

Una situazione alquanto complessa e ambigua perché può essere vantaggiosa sia per l’AKP, passando al vaglio tutte queste riforme; a vantaggio dei rivali di sinistra perché potrebbe essere la loro occasione per riscattare il Paese da questa profonda crisi che sta vivendo da quando l’AKP governa e rivalutare un avvicinamento (speriamo in un’alleanza) con l’Occidente. 

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