Giugno è stato il “pride mouth”, ricorrenza internazionale nata per commemorare i moti di Stonewall – del 28 giugno 1969 a New York – quando la comunità LGBTQ+ reagì contro le continue vessazioni della polizia.
Dopo tanti anni, la lotta per l’uguaglianza e per i diritti non è ancora doma e, anche quest’anno, le piazze e le strade di tutta Italia, e di tutto il mondo, si sono colorate di arcobaleno.
Gioia, festosità, irriverenza ma anche tanta voglia di combattere e di affermare, con forza, che ognuno ha il diritto di essere sé stesso, con orgoglio.
Perché il Pride è proprio questo: è voce che diventa urlo, è azione, è resistenza, è l’affermazione di se stessi. Allora, in piazza, scende l’Italia più bella, quella che non vuole arrendersi e che, invece, continua a credere che un mondo diverso, più libero e inclusivo, possa essere costruito.
Al dì là delle critiche contro ogni discriminazione. Manifestando il proprio orgoglio e il proprio dissenso contro una società ancora troppe volte ipocrita e omofoba.
C’è chi dice che non ci sia bisogno del Pride – definendola una “carnevalata” – per affermare i propri diritti. Che chi è convinto, poi, che non ci sia bisogno di essere “eccentrici” o “colorati”. Opinioni che non meritano di essere ascoltate e che, anzi, vanno combattute con la testimonianza. Allora, fino a quando ci sarà qualcuno che critica il modo di essere di qualcun altro allora sarà giusto scendere in piazza e manifestare esattamente nei modi e nei termini del Pride. E se qualcuno tornerà a dire che non è giusto farlo quello sarà il momento di manifestare ancora più forte.
In fondo, nella vita, spesso e volentieri, siamo chiamati a prendere delle posizioni. Oggi siamo chiamati a sceglie se stare dalla parte dell’arcobaleno o dalla parte del “buco nero” che troppe volte macchia la nostra Repubblica.
Il Pride, ogni anno, ci ricorda da che parte dovremmo stare. Anche quest’anno io ero in piazza, con l’Italia più bella e colorata.