Abbiamo visto nel precedente articolo tutta una serie di elementi che vengono a rappresentare altrettante incognite per un governo sicuro e stabile ma abbiamo visto anche la salda e complessa struttura costituzionale spartana capace di perpetuarsi nei secoli. Già nell’Ellade antica molti personaggi di cultura riflettevano su questi elementi o prendevano a riferimento costituzioni durature ed efficienti come quella lacedemone, ma già a cavallo tra VI e V secolo un tentativo di realizzare un regime politico che fosse estraneo a elementi di corruzione e di distinzione socioeconomica lo fecero i pitagorici in diverse realtà della Magna Grecia.
La comunità pitagorica seppure si fondava sull’autorevolezza della figura di Pitagora, a metà tra realtà e leggenda, si presentava a tutti gli effetti come una comunità: tutti erano uguali, uomini e donne, non esistevano ricchi e poveri, la proprietà privata era abolita, non esistevano privilegi ed ognuno doveva svolgere il proprio compito e attenersi a regole comportamentali. Unici requisiti richiesti erano una buona capacità intellettiva e morale. Un quadro della vita dei pitagorici ci viene fornito dal seguente passo:
“1a. Parlerò ora dei compiti che i [Pitagora] aveva assegnato ai suoi discepoli durante la giornata; perché chi seguiva la sua guida operava secondo il programma seguente da lui descritto. (96) Costoro facevano passeggiate mattutine da soli, in luogo dove c’era calma e tranquillità adatta e dove c’erano templi e boschi e cose gradite all’animo. Pensavano infatti che non convenisse incontrarsi con qualcuno prima di aver ben disposto la propria anima e riordinata la mente e che a ben disporre la mente fosse adatta tale tranquillità; mentre il cacciarsi tra la folla appena alzati lo ritenevano causa di turbamento. Per questo appunto tutti i Pitagorici sceglievano sempre i luoghi che avessero carattere sacro. Poi, dopo la passeggiata mattutina, s’incontravano fra loro, per lo più nei templi e, sennò, in luoghi simili. Era questo il momento adatto per l’insegnamento e per l’apprendimento e per la correzione dei costumi. (97) Dopo tali occupazioni passavano alla cura del corpo. I più si ungevano e si esercitavano nella corsa, in minor numero anche nella lotta, in giardini e boschi; altri ancora, coi manubri e coi movimenti cadenzati delle braccia, badando a scegliere esercizi adatti a irrobustire il corpo. A colazione prendevano pane e miele puro o di favo; durante il giorno non bevevano vino. Dopo la colazione si dedicavano agli affari riguardanti la propria città o città straniere o i forestieri, secondo che leggi disponevano; ché ogni provvedimento essi volevano prendere dopo colazione. Venuta la sera, di nuovo passeggiavano, non più da soli come la mattina, ma in due o tre e richiamavano alla mente le cose apprese e si esercitavano in belle occupazioni. (98) Dopo la passeggiata facevano il bagno, poi si recavano alle mense comuni. A ciascuna di queste non si riunivano più di dieci uomini. Radunatisi tutti i commensali, si facevano libagioni e offerte di primizie e incenso. Poi iniziavano il pranzo sì da terminare prima del tramonto. Prendevano vino, focaccia, pane, carne e verdure cotte e crude. Imbandivano carni di animali che è lecito sacrificare, raramente di pesci perché ritenevano, per certe loro ragioni, che alcuni di essi non giovavano alla salute. (99) Dopo il pranzo si libava e si leggeva. Era consuetudine che il più giovane leggesse e il più anziano sorvegliasse cosa si dovesse leggere e come. Al momento di andarsene il coppiere versava loro il vino per libare e fatta la libagione il più anziano pronunciava queste parole: “Non danneggiate né distruggete piante coltivate e da frutto, come anche animali che non siano nocivi all’uomo. (100) Inoltre, abbiate animo buono e pio verso gli dèi, i demoni e gli eroi ed eguali sentimenti abbiate verso i genitori e i benefattori; difendete la legge e combattete l’illegalità”. Terminate queste parole, ognuno tornava a casa. Usavano vesti bianche e pulite, coperte bianche e pulite; le coperte erano panni di lino, ché non facevano uso di lana. Non approvavano a caccia e non si davano a tale esercizio. Tali dunque erano per quel sodalizio le prescrizioni giornaliere riguardo al cibo e alle occupazioni della vita. (101) È stato tramandato anche un altro aspetto dell’educazione dalle Sentenze Pitagoriche ecc.” (Vita dei Pitagorici di Aristosseno in IAMBL.V.P.95)
Tuttavia, il fatto che la mancanza dei requisiti intellettivi e morali potesse escludere soggetti che volessero proporsi alla comunità fu tra le cause per le quali i pitagorici vennero considerati come un’elite impenetrabile per elementi oligarchici ed oclocratici e da lì a montare sollevazioni contro la comunità non ci volle molto. È emblematico il caso della rivolta di Cilone: personaggio di non buone doti intellettive e pessime doti morali, vistosi rifiutare l’ingresso alla comunità pitagorica ordì un massacro dei pitagorici riuniti nella casa di Milone. Praticamente, quello che avvenne a Crotone avvenne anche in altre città magnogreche. Il principio di porre al governo i migliori elementi con chiari requisiti morali per il bene dello Stato poteva essere certamente un principio cardine che purtroppo si andò a scontrare con l’incognita del risentimento umano e della cupidigia. Certamente il limite dei pitagorici fu quello di non cercare di fornire un’educazione di base che mirasse all’elevazione culturale e alla responsabilizzazione civica tutta la popolazione.
La soluzione di Platone alla ricaduta nell’anaciclosi. Il problema che si pone Platone è quello d’interrompere il ciclo di avvicendamento dei regimi politici in virtù della costituzione di un regime sicuro e prospero. La soluzione per il Nostro filosofo può consistere solo in una situazione politica che coinvolga tutti (evitando gli scontri tra fazioni ma anche incomprensioni e risentimenti che minerebbero, come nel caso dei governi pitagorici, governi illuminati ma non accessibili a tutti) offrendo garanzie a tutti che i propri diritti possano essere tutelati. La formula di questa costituzione è espressa nelle Leggi, un sistema dove la partecipazione alla gestione dello Stato è accessibile a tutti per merito e competenza oppure per sorteggio (quello che è sempre stato definito nell’antichità ellenica come il metodo democratico per eccellenza). Il problema per Platone si risolve nell’elevazione culturale (e morale) della popolazione nel suo complesso al fine di avere, per quanto possibile, tutti gli stessi mezzi per la gestione dello Stato, una partecipazione che è servizio alla comunità, è per il progresso socio-economico dello Stato che in tal modo si avvale della potenzialità dei propri componenti. È tutto vantaggio dello Stato avvalersi delle migliori qualità della popolazione, maschile e femminile, mentre il contrario sarebbe a tutto danno dello Stato stesso: nella Repubblica è chiaro questo discorso allorquando Platone tratta della necessità della parità dell’educazione tra uomini e donne in un contesto dove l’istruzione fornita dallo Stato elimina a prori la differenza tra classi.
Nel prossimo articolo ci occuperemo di toccare le tre soluzioni che Platone fornisce inquadrandole in tre differenti Dialoghi (Repubblica, Politico, Leggi), appartenenti a periodi differenti dell’evoluzione del pensiero del Filosofo, che noteremo essere comunque contigue.