Atlantismo ed europeismo, destre e sinistre: valori contrapposti nel futuro dell’Europa. Intervista a Massimiliano Smeriglio (S&D)

Bruxelles, Parlamento Europeo. Massimiliano Smeriglio, 1966, risponde sui valori che dividono le destre e le sinistre, in Italia e in Europa. Il futuro dell’UE dipenderà dalle scelte che gli elettori faranno su ideologie contrapposte.

Quali sono le impressioni sulla legislatura che si sta concludendo?

È stata una legislatura piena di imprevisti storici: abbiamo iniziato con la Brexit, poi è venuto il Covid, la perdita di un grande europeo e italiano come David Sassoli, infine la guerra. In questo scenario si sono susseguite due fasi molto diverse. Nei primi due anni e mezzo, sotto la guida di Sassoli, c’è stato un protagonismo progressista molto forte. Sono stati gli anni della maggioranza Ursula, dell’esclusione delle destre (compreso il gruppo della Meloni) da scelte sostanziali, della reazione alla pandemia (debito condiviso), di Next Generation Eu e di iniziative di politiche pubbliche a sostegno della ripresa. Ma anche inclusione sociale, transizione ecologica e digitale, conferenza sul futuro dell’Europa, parità di genere; tutti elementi promettenti, dal mio punto di vista, per un’Europa “necessaria”. La seconda parte della legislatura è stata, invece, del tutto diversa, sotto la presidenza Metsola. Si è verificato l’allargamento dell’area di governo ai conservatori, non solo eventi drammatici come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha cambiato le priorità dell’agenda europea. Ci tengo a sottolineare, inoltre, che si sta mettendo a punto una misura dal mio punto di vista improvvida e sbagliata: l’implementazione degli arsenali militari di ogni Stato utilizzando i fondi del PNRR, come anche l’attacco della destra al Green New Deal e alla transizione ecologica. Una legislatura, pertanto, a due velocità. Per noi è stata più importante e produttiva la prima fase. 

Quali saranno i temi centrali nella prossima legislatura?

Tutta la campagna elettorale si baserà su uno scontro di visioni, tra gruppi diversi e alleanze. Uno dei temi prioritari sarà il posizionamento sullo scenario di guerra. Credo che ora il punto di partenza sia capire chi è davvero europeista. Mi spiego meglio: oggi tutti si dicono europeisti, a differenza di quanto avveniva nel 2018/19 quando le forze sovraniste erano contro l’Europa. Stavolta la campagna elettorale sarà “tutti con l’Europa”. 

Quale Europa?

Le forze progressiste di sinistra dovranno insistere sull’Europa delle istituzioni comunitarie, mentre le destre lavoreranno per rafforzare gli Stati nazionali, con un inevitabile passo indietro rispetto a quello che abbiamo costruito in questi anni. Questo tema sarà cardinale nello scenario di guerra, perché da esso dipenderà se riusciremo a lavorare sull’autonomia strategica europea, oppure se l’Europa avrà un dominus, cioè l’asse atlantico, che ne determini le scelte identitarie. Vedo una frattura tra un’impostazione atlantista e una europeista, che le sinistre dovrebbero presidiare meglio. 

In aprile lei ha presentato una discussione sul piano d’azione dell’Ue contro il traffico di beni culturali. Di che si tratta?

L’Europa è un grande continente con un’enorme storia, ricca di architettura e di beni culturali, di cui l’Italia è forse più ricca di altri. Tutelare i beni artistici, inserendoli tra i beni comuni europei, così da tutelarli a un livello superiore, è una battaglia importante. Occorre rafforzare i rapporti tra le diverse intelligence, così da incrementare il lavoro preventivo a tutela e a cura del patrimonio. Intorno al traffico di beni culturali ruotano miliardi di euro in maniera illegale e si assiste, soprattuto in Paesi meno strutturati, a un impoverimento del patrimonio pubblico a favore dell’illegalità, che deve essere combattuta. Tuttavia, il lavoro fatto qua a Bruxelles è di secondo livello: cerchiamo di supportare i nostri rispettivi Stati affinché il patrimonio possa godere di maggiore tutela, anche europea. 

La sicurezza dei giornalisti sta diventando un problema sempre più urgente. Sia per l’incolumità dei reporter, sia per la tutela della privacy e delle fonti. Cosa può fare l’UE in tal senso?

Stiamo facendo molto tramite un programma ambizioso, il Media Freedom Act, che è in discussione e che arriverà in Commissione cultura a settembre, per poi approdare in Parlamento. Tuttavia, lo scontro con gli Stati è piuttosto aspro, poiché la posizione assunta dal Consiglio (quindi dai governi nazionali) è inaccettabile. È stata inserita una postilla su suggerimento della Francia, posizione rafforzata ulteriormente da Polonia e Ungheria (quest’ultimi non sono dei campioni della difesa dello stato di diritto), che prevede la possibilità “per motivi di sicurezza nazionale” di monitorare redazioni, giornalisti ed entrare nei dispositivi se necessario. E siccome la “sicurezza nazionale” è un concetto labile, che viene mal interpretato da governi autoritari, come quello ungherese e quello polacco, tale postilla rischia di minare il lavoro che stiamo portando avanti a tutela dei giornalisti, a garanzia delle fonti, a difesa legale dei giornalisti contro le querele che ricevono. In conclusione, il lavoro che si può fare è grande, ma la democrazia prevede un confronto coi governi nazionali, che talvolta rispondono in maniera negativa. 

La spaventa una possibile alleanza tra conservatori e popolari?

L’alleanza conservatori – popolari è all’ordine del giorno. In questo momento, in Parlamento abbiamo maggioranze variabili. Succede molto spesso che si presenti una maggioranza di questo tipo, con ID, a volte anche i liberali (tranne quelli francesi, che vogliono tenere lontane le destre dalla maggioranza, ma attualmente in Francia non godono di ottima salute politica). Questo schema di Europa sarà centrale nella prossima campagna elettorale. Si tratta di due opzioni completamente diverse: Stati nazionali vs. istituzioni comunitarie, profilo atlantista vs. profilo europeista, Green New Deal vs. negazionismo e così via. Sarà una battaglia sull’Europa che vogliamo, cioè quella “massima”, come spazio economico, culturale, diplomatico e di mobilità dei cittadini. Questa è la nostra idea di Europa. 

È la seconda volta che pone l’accento sulla differenza tra europeismo e atlantismo. Non crede che possano andare anche di pari passo?

Nessuno mette in discussione l’alleanza militare e difensiva, ovvero il Patto Atlantico. La NATO ha una sua funzione, è un deterrente importante nel mondo, è parte della nostra storia e tutti i Paesi europei contribuiscono ai risultati e al finanziamento del sistema NATO. Il tema è politico, non militare. Io sono per una NATO che continui ad avere una funzione militare difensiva; in questi mesi, invece, ha cercato uno spazio politico spinta dagli USA e dalla Gran Bretagna, che fuori dall’Europa così ha ritrovato la sua vocazione atlantica. La politica, per noi, si deve fare in queste sedi, a Bruxelles, nelle istituzioni dell’UE. Un’Europa più forte, autonoma e sovrana può contribuire a modificare gli assetti della NATO, senza subirli, ma con una voce più importante. Una voce europea unita, non quella dei 27 Stati. 

Gli ultimi risultati elettorali del PD non sono stati molto convincenti. Crede che la strada percorsa dalla nuova segretaria sia quella giusta?

Mi lasci sottolineare che io resto un indipendente che guarda con attenzione a quello che succede non solo nel PD, ma anche al campo largo progressista. Solo con l’ambizione di ricostruire un quadro completo, saremo in grado di essere competitivi con la destra. Visto il momento, mi chiedo: a cosa serve la sinistra? A chi parla? A quali blocchi sociali si rivolge? Io penso che la sinistra debba occuparsi di redistribuzione delle risorse, di uguaglianza, di diritti, debba combattere il gap sociale e ambientale, investire sull’innovazione. Andrebbe ricostruita un’ideologia con cui interpretare il mondo e, partendo da qui, mettere in atto dei meccanismi di opposizione frontale al governo Meloni. La sinistra, in definitiva, deve rientrare nella società italiana. Il compito della Schlein e degli altri leader è difficile, ma abbiamo tempo, perché questo governo, purtroppo, durerà. Il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, in un’intervista a Libero ci ha spiegato molto bene qual è il problema: la destra vince perché non ha rinunciato alla propria storia e alla propria identità.

Lei che cita La Russa: una frecciatina o crede davvero a quello che ha detto?

Un grande poeta, Franco Fortini, diceva che noi siamo fatti “di morti e di venturi”.  Cioè senza sapere da dove vieni è molto complicato capire dove andare. L’identità di una comunità politica vale quanto il presente. Loro su questo sono stati molto bravi, perché non hanno dimenticato la loro storia, rendendola una proposta politica che gli italiani hanno giudicato convincente: identitaria, nazionalista, con sfumature razziste, omofoba, suscettibile di entrare nelle vite delle persone con riforme assurde sui diritti. Questioni ideologiche che fanno identità. Il loro impianto ideologico va combattuto. 

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