Boris 4: “cambiare tutto per non cambiare niente”

Scroscianti applausi accolgono quelle sedici persone che poco a poco prendono posto sulle poltrone rosse che occupano il palco della Sala Petrassi, situata all’interno dell’Auditorium Parco della Musica, sede della diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma.

È l’ultimo giorno della Festa e – proprio come durante un festeggiamento – vi sono risate e ringraziamenti. Sulle sedici poltrone rosse siede il cast della serie televisiva Boris, ormai considerata cult dalla critica e dal successo che ha riscontrato tra il pubblico. Successo capace di migrare dal piccolo schermo allo smartphone, dalla Fox a Netflix e infine su Dinesy Plus.

«Nonostante il desiderio – e le spinte – di questi lunghi anni, rimaneva sempre il desiderio di preservare e quindi di non ripartire. Poi sono successe delle cose che ci hanno fatto capire che il momento era veramente tornato: tra tutte l’arrivo delle piattaforme che hanno fatto sì che il fenomeno esplodesse per una nuova generazione e forse, paradossalmente, la mancanza di Mattia Torre. Ognuna di queste cose ha contribuito a muovere qualcosa dentro di noi e a lavorare con e per lui».

È il coro unanime di Lorenzo Mieli (produttore) e di Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo (sceneggiatori) a rompere il ghiaccio, in una sala concitata dalla presenza dell’intero cast e dalla visione dei primi due episodi della quarta stagione. Episodi che – senza alcuno spoiler – nonostante il passaggio (e di conseguenza i timori) alla piattaforma disneyana, non cambiano il messaggio irreverente e satirico che aveva contraddistinto le prime tre stagioni. D’altronde, come ripete Francesco Pannofino «se Boris non graffia non è Boris».

Artefice di quel graffio è stato – ed è – sicuramente Mattia Torre, venuto a mancare nel luglio 2019 all’età di 47 anni, tra il dolore dei famigliari, dei colleghi, degli amici e di coloro che hanno avuto il piacere di leggerlo tra le righe dei suoi libri o le note delle sue sceneggiature.

«Abbiamo avuto l’impressione che Mattia fosse stato sempre lì con noi» spiegano gli sceneggiatori «d’altronde abbiamo cazzeggiato per talmente tanti anni, e la nostra conoscenza era talmente fraterna che non abbiamo pensato neanche per un attimo che non fosse con noi», infatti i primi tempi «lo sentivamo un po’ giudice di quello che facevamo».

Passata più di una decade, diverse cose sono cambiate. Oltre la mancanza di Mattia Torre, viene ricordata anche la scomparsa di Roberta Fiorentini (Itala) e Arnaldo Ninchi (Dottor Cane) che continueranno a rivivere proprio in quegli episodi salvati dalle piattaforme. In una decade, il cambiamento maggiore è stato proprio questo trasferimento del grande pubblico che, oggi giorno, preferisce le offerte immense delle piattaforme alle reti generaliste. Boris, quindi, come ricorda Antonio Catania (Lopez), «non se la prende con una in particolare ma prende in giro un sistema di cose fatte un po’ alla cazzo di cane».

Dai fratelli Guzzanti a Tiberi, Sermonti, Crescentini, Calabresi, Bruschetta, De Ruggeri, la voce è univoca e tutti sono piuttosto felici di tornare nei panni di questi personaggi unici che solo in questa serie sono riusciti a “vestire”. Il clima, anche dopo tanti anni, è stato quello di un gruppo di amici che in primis hanno sperato di tornare per una quarta stagione. Proprio per via di questo clima ho voluto chiedere agli sceneggiatori di spiegarmi questa spinta che li ha portati a rompere il tabù della quarta stagione.

Durante la visione, una battuta mi ha colpito in particolare “Com’è l’inferno? È pieno di quarte stagioni”. Questa frase purtroppo rappresenta la realtà di molte serie che meriterebbero un rinnovo di stagione e ch,  invece, vengono fermate dalle piattaforme. Qual è la spinta che ha mosso la quarta stagione di Boris?

«Siamo partiti da “chiudi su Lazzaro basito”» esordisce Giacomo Ciarrapico «e volevamo proprio ripartire da questo aspetto, dal nostro essere venditori di risate. Se riesci a dire qualcosa facendo ridere hai raggiunto il tuo scopo».

«Sono molto contento di aver fatto una quarta stagione» continua Luca Vendruscolo «perché mi sono ricordato di quando ero io il fruitore di sitcom. Non  avevo mai considerato che le sitcom avessero il diritto di terminare. Ero io ad avere il diritto di dire che erano diventate ripetitive e che avevano stufato. Credo che si tratti di un genere che appartiene molto al pubblico… per quello quando ho sentito dire che che avevamo “interrotto” qualcosa che invece doveva decadere ho rivaluto tutto. Le sitcom per me non si interrompono ma devono decadere».

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