CANNIBALISMO: Tra suggestioni e realtà

The sun (7 febbraio 2021) ha condotto una ricerca su diverse tribù provieniti dai più remoti angoli del mondo che, ancor oggi, praticano il cannibalismo.

Il termine “cannibale” deriverebbe dai Canìbal, una popolazione caraibica delle Piccole Antille. I Canìbal, così denominati da Cristoforo Colombo, erano accusati dai conquistadores europei di antropofagia (ἄνϑρωπος “uomo” e –ϕάγος “-fago”, mangiare): un modo per legittimare la conquista e “civilizzazione” di popoli indigeni nel XV secolo.

Tra le tribù menzionate dal quotidiano britannico, ci sono i monaci Aghori di Varanasi, in India. Questa setta induista, dedita al cannibalismo, è stata avvicinata dal fotografo italiano Cristiano Ostinelli: “Un grande mistero avvolge queste tribù, gran parte degli indiani sono spaventati da loro. Si dice che possano predire il futuro, camminare sull’acqua e fare profezie malefiche. I monaci utilizzano una combinazione di marijuana, alcol e meditazione per raggiungere uno stato di rilassamento totale e di consapevolezza, per avvicinarsi al venerato dio Shiva“.

Gli Aghori credono che, per raggiungere l’illuminazione, sia necessario spogliarsi di tutti i pregiudizi e vivere senza alcun tipo di tabù. Per questo motivo, raccolgono i cadaveri gettati nel Gange e se ne cibano per assorbirne lenergia vitale.

Nel 2015 Reza Aslan, inviato del programma televisivo Believers, in onda sulla CNN, è entrato in contatto diretto con un monaco Aghori. Il monaco ha costretto il conduttore a mangiare quel che sembrava essere un pezzetto di carne umana e a bere alcool da un teschio per, infine, gettargli addosso la sua urina (qui il video ).

Nell’Est Papua, in Nuova Guinea, troviamo, invece, la tribù dei Fore. Secondo alcuni studi pubblicati su Nature, questa popolazione sarebbe diventata immune a una malattia che attacca il cervello, cibandosene.  

A partire dagli anni ’50, gli antropologi cominciarono a studiare la tribù e notarono, principalmente nelle donne, la presenza di una malattia neurologica endemica che prese il nome di kuru (tremare in lingua autoctona).

Si scoprì che le donne, durante la preparazione dei corpi per la sepoltura, erano solite mangiarne parti di cervello e che, quindi, era stato proprio questo rituale a causare l’infezione neurologica portatrice di tremore e demenza. Tuttavia, se tra gli anni ’50 e ’60, il kuru aveva provocato una morìa tra i Fore, è anche vero che, col tempo, la tribù è diventata immune alla malattia. “Questo è un esempio lampante dell’evoluzione darwiniana negli esseri umani”, ha affermato John Collinge dell’Institute of Neurology (University College London) che ha condotto lo studio.

The Sun menziona anche i Korowai, un popolo di cacciatori e raccoglitori che vive nella foresta pluviale. Nel 2006, il reporter Paul Raffaele li ha incontrati: “Per i Korowai […] quando qualcuno muore per loro misteriosamente (in realtà di malattia), credono che sia a causa di un khakhua, un uomo strega che viene dal mondo degli inferi. Il khakhua […] comincia a mangiare magicamente il loro interno. Secondo la loro logica, devono mangiare il khakhua come lui ha mangiato la persona che è morta. È il loro “sistema giudiziario”, basato sulla vendetta.”.

The Guardian, però, ci mette in guardia rispetto a questi racconti. Nel 2018, il giornalista della BBC Will Miliard ha raggiunto nuovamente i Korowai, trovando un popolo secolarizzato — ben a conoscenza di smartphone, TV e altre tecnologie —  il quale difficilmente si dedicherebbe, ancora oggi, a una pratica come il cannibalismo.

A causa di questi racconti sorpassati, risulta complesso comprendere quanto ci sia di vero sul cannibalismo tribale e su quanto le popolazioni indigene, ormai inserite nel mondo moderno, si siano emancipate da questa feroce tradizione.

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