Cosa sono i rifiuti?

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Secondo la direttiva europea dei rifiuti, del 2008, qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione di disfarsene è definibile come rifiuto.

Possono esistere varie tipologie di rifiuto in base alla loro natura o alla loro pericolosità.

Per esempio i rifiuti urbani si classificano in base alla seguente suddivisione: organico, plastica e metallo, vetro e carta.

Questi possono essere smaltiti in situ come i secchioni della nettezza urbana, cestini e isole ecologiche o raccolta porta a porta.

Basta fare una passeggiata per un parco o una spiaggia e si può notare come in molti di essi sono presenti tanti oggetti lasciati lì a sporcare e rovinare il paesaggio.

Si potrebbe fare una lista infinita e tantissime buste della spazzatura con le cose che si possono trovare in una spiaggia, dalle classiche bottigliette di vetro o acciaio a cotton fioc passando per un’infinità di materiali in plastica di varie dimensioni.

Invece per rifiuti pericolosi si intende quelli che contengono sostanze tossiche che possono creare gravi danni all’uomo e all’ambiente, quali: pile, farmaci, oli usati, RAE, liquami di origine sia industriale che agricola. Questi devono essere smaltiti secondo procedure speciali in appositi siti di stoccaggio.

Tutto ciò che viene abbandonato ha un tempo di smaltimento, quindi si degraderanno e rientreranno nell’ambiente; questo tempo varia da pochi mesi, un torsolo di mela, all’indeterminato della bottiglia di vetro.

Cosa vuol dire che dopo 450 anni una bottiglia di plastica si è degradata?

Significa che le catene di molecole che componevano la bottiglia si sono slegate l’una dall’ altra e fluttuano singolarmente nell’acqua, diventando frammenti chiamati nano o microplastiche, in alcuni casi invisibili all’occhio umano.

Possono comportarsi come spugne assorbendo agenti chimici, pesticidi ed erbicidi, e possono essere riconosciuti come prede dai pesci e quindi tornare sulle nostre tavole.

Questo ci fa capire anche quanto il tempo di smaltimento naturale dei rifiuti sia variabile e quanto sia necessario far attenzione a ciò che smaltiamo in maniera errata.

Oltre le aziende private e pubbliche che si occupano di raccolta e smaltimento di rifiuti in tutta Italia, ci sono molte associazioni di volontariato che si occupano di ripulire il territorio nelle zone dove c’è un accumulo di rifiuti molto alto. Queste sono di solito parchi o spiagge e i volontari sia di giorno che di notte si mettono a pulire facendo molti sacchi di spazzatura.

Ho avuto modo di partecipare come volontario, presso il Parco Nazionale d’Abruzzo, Molise e Lazio, dove, tra i molti compiti svolti, c’è stata la possibilità di poter fare un servizio di pulizia in una bellissima zona di montagna, chiamata Camosciara, con una foresta molto fitta, ruscelli e fiumiciattoli con a valle una zona verde dove è possibile fare i pic-nic. Un posto in cui mai avrei pensato di trovare una quantità tale di rifiuti da riempire 8 buste con cicche di sigarette, tappi di bottiglia sia di plastica che d’acciaio, bottiglie, pannolini sporchi, buste della spesa e batterie stilo.

Alla prima esperienza di volontariato, non mi sarei mai aspettato di vedere una zona di montagna all’interno di un parco nazionale, idealmente vista come un’area naturale priva di spazzatura, dove tutti dovrebbero cercare di mantenere la zona inalterata, invece si può trovare una situazione completamente diversa.

Queste esperienze sono importanti per vedere quanto anche zone dove l’uomo non è, sempre, presente, i rifiuti lo sono.

In realtà non c’è bisogno per forza di associazioni per poter pulire le zone che fanno parte della propria città.

Camminando tra le nostre spiagge, è possibile riempire molte buste della spazzatura piene di carte, bicchieri, bottiglie, bastoncini di plastica.

Eppure non si è mai soli: dopo aver raccolto molteplici buste, si sono aggiunte quattro persone con le quali siamo riusciti  a portare avanti il nostro scopo, ovvero sensibilizzare i bagnanti presenti sul litorale.

Vedere una signora darci del denaro per poter comprare strumenti e bottiglie d’acqua, due bambini fare una busta con i loro rifiuti e portarla a noi o anche un signore che, nel fumare una sigaretta, ha attirato la mia attenzione per un tronco cavo pieno di sporcizia che lui stesso ha svuotato nel sacco.

Queste reazioni sono state bellissime e inaspettate, vedere due bambini piccoli raccogliere la spazzatura intorno a loro, aiutati dai genitori, ci ha fatto capire quanto possa essere importante il lavoro pedagogico, far fare lavori scolastici sui rifiuti e sulla differenziazione o anche giochi per creare nuove generazioni che rispettino l’ambiente attraverso un piccolo gesto come quello di usare i cestini invece di lasciarli per terra. È in questo contesto che nasce l’educazione ambientale, la quale ha il compito di sensibilizzare la collettività su un tema particolarmente importante nel mondo odierno: quello della crisi climatica, che ha reso imprescindibili e urgenti degli interventi di formazione/informazione verso gli alunni, perché sviluppino un nuovo modo di pensare al concetto di ambiente e di rapportarsi a esso.

Perché si parla sempre di più di differenziazione dei rifiuti? Per differenziazione si intende la divisione di tutti gli oggetti che compongono i rifiuti nelle varie categorizzazioni che sono state fatte: vetro, carta, plastica, indifferenziato e umido. Si parla sempre di più di questo concetto, tanto che la raccolta differenziata viene attuata in maniera continua ormai in molti stati.

Riuscire a dividere i rifiuti è importante per poter riutilizzare quell’oggetto o il materiale di cui sono composti per formare nuovi oggetti partendo da una base piuttosto che produrre nuovi componenti, tutto ciò porta a risparmi in termini di produzione ma anche di disturbo ambientale.

Per quanto riguarda l’Italia i dati sono molto importanti, il 61,28% dei rifiuti viene differenziato, questo poi viene smistato per i vari centri di raccolta dei rifiuti e successivamente portati o in discarica, in industrie di riciclo o anche negli inceneritori.

Il numero di discariche in Italia supera quello di inceneritori, centri di compostaggio e coincenerimento, ma non sempre le discariche sono un mezzo sostenibile; mentre aumentare il numero di impianti sostenibili avrebbe dei risvolti positivi per l’ambiente.

Nonostante ciò bisogna sempre tener conto del fatto che qualsiasi impianto di smaltimento porta ad un aumento dell’inquinamento dell’ambiente.

La differenziazione è un processo in cui si può puntare non solo per ridurre la produzione di nuovi oggetti ma anche perché molte plastiche possono essere usate per creare dei composti con cui si possono fare abiti riciclati.

Ad esempio, quest’estate varie aziende di vestiario sportivo hanno iniziato a produrre magliette da gioco con plastiche riciclate e le squadre del nostro campionato stanno prendendo parte a questo progetto (Il caso della S.S. Lazio https://www.repubblica.it/sport/calcio/serie-a/lazio/2021/07/03/news/lazio_presentata_la_nuova_maglia_biancoceleste_ma_green_-308805697/ ). Quest’idea potrebbe essere fondamentale, essendo il calcio uno degli sport più seguiti nel nostro paese, può essere d’aiuto per sensibilizzare tutte le persone che non conoscono o non si sono mai interessati a questo ambito e grazie al calcio potrebbero prenderlo sul serio, iniziando ad aumentare le percentuali di riciclo e di differenziazione.

Le stesse campagne pubblicitarie che invitano le persone a comprare bottiglie e cannucce d’acciaio, così da poterle riutilizzare e anche risparmiando sul costo.

Anche la produzione dei fogli di carta, negli ultimi anni, si sta sviluppando con carta riciclata, questo porta ad una riduzione del disboscamento degli alberi, andando a proteggere, non solo gli organismi vegetali ma anche quelli animali associati alle foreste. 

Così da creare strumenti sostenibili, che possono portare vantaggi sia all’uomo che all’ambiente.

Non dobbiamo riciclare, differenziare e pulire le città dai rifiuti solo per l’ambiente, ma anche per noi stessi e per le future generazioni.

Tener pulito fa diminuire il rischio di malattie che ci possono colpire direttamente o indirettamente, come quelle che si passano da animali che vivono a contatto con la spazzatura, topi e gabbiani o quelle che si possono sviluppare dopo aver mangiato un animale che involontariamente ingerisce materiali di scarto, come pesci e animali da allevamento. Come riportato dal Corriere della Sera, secondo l’Unione Europea esiste una precisa e vincolante gerarchia dei rifiuti con l’obiettivo di stabilire un ordine di priorità che riduca al minimo gli effetti nocivi sull’ambiente: al primo posto v’è da prevenire e ridurre la produzione dei rifiuti ad esempio, vietando l’usa e getta, o estendendone il ciclo di vita; al secondo posto, per quello che non si può prevenire, troviamo la preparazione per il riutilizzo; al terzo posto, c’è il riciclaggio attraverso cui materiali di scarto vengono rielaborati; al quarto posto, troviamo il recupero di altro tipo, in particolare trasformando i rifiuti in combustibile per la produzione di energia nei termovalorizzatori; all’ultimo posto, infine, c’è lo smaltimento bruto, attraverso discariche e inceneritori. Come denotato dalle associazioni ambientaliste e dai quotidiani nazionali, molte città italiane sono piuttosto indietro su questa gerarchia mostrando come v’è ancora molta strada da fare: una strada che però dobbiamo percorrere tutti insieme se vogliamo arrivare fino in fondo.

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