Crisi M5S: il Consiglio Nazionale valuta l’espulsione di Di Maio

Giuseppe Conte, durante la riunione notturna del Consiglio del M5S, si è detto molto rammaricato per le parole usate da Luigi Di Maio, che nei giorni scorsi, a margine del risultato disastroso delle amministrative, ha usato parole dure contro il partito e indirettamente contro l’attuale leader. Se fino al tardo pomeriggio di ieri l’espulsione di Di Maio era molto probabile, per ora è un’ipotesi congelata. 

Inoltre, dall’ANSA si apprende che la riunione è durata quattro ore e che è stata ribadita la linea sulla risoluzione che dovrà essere votata in Senato martedì: la necessità di una de-escalation militare e della centralità del parlamento. Non si è parlato, da quanto trapela, del “no” all’invio di armi in Ucraina; la bozza che sarebbe stata redatta da alcuni senatori del Movimento che chiedeva lo stop all’invio di armi “non è mai stata condivisa”, ha detto uno dei partecipanti al vertice. 

Le criticità all’interno dei 5S sono state confermate stamattina anche da Roberto Fico: “È vero che ci sono frizioni interne al M5S”, il quale ha proseguito affermando di “non comprendere come il ministro degli Esteri attacchi su delle posizioni rispetto alla NATO e all’Europa”.

La posizione di Luigi Di Maio all’interno del partito, già dall’investitura di Giuseppe Conte come guida del Movimento, è stata meno politica e più istituzionale. Nessuno slogan di forte impatto mediatico, niente grida né più braccia alzate per “aver abolito la povertà”. Di Maio, volutamente, giacché aveva intuito il declino del grillismo, ha valorizzato molto l’aspetto governativo. Dichiarazioni di facciata, pochissime interviste e niente a che fare con la guerra intestina al Movimento, benché la sua componente non veda di buon occhio quella dell’attuale leader. Tant’è che, di recente, Riccardo Ricciardi, “contiano” e vicepresidente del Movimento, non ha avuto remora nel definire il capo della Farnesina “un corpo estraneo” al M5S. E proprio sul fatto che Di Maio rappresenti l’Italia all’estero in un momento critico e sia alla guida di un ministero centrale, “grazie al Movimento”, Giuseppe Conte prova a far leva con le sue argomentazioni. Di Maio, infine, vorrebbe un rinnovamento trasparente del M5S, giacché, in fin dei conti, la trasformazione in partito è più che nota, tanto vale metterlo nero su bianco. Un esempio su tutti: la regola dei due mandati, che impone a un parlamentare di poter essere eletto per un massimo di due legislature. Voluta ab initio, quando il Movimento era forza di rottura contro il sistema, oggi è una regola insensata, laddove il partito ha rinunciato ai suoi dogmi radicali – si è alleato con Lega, Forza Italia, Partito Democratico e Italia Viva. 

Se l’espulsione dal Movimento arriverà, farà molto scalpore. E genererà l’effetto martirio, grazie al quale Di Maio riuscirà a insediare la leadership di Conte pur trovandosi fuori. Con un vantaggio ulteriore: essere esterno a ogni controversia e scaramuccia, potendo giovare, perché no, delle porte che i partiti lasciano aperte con l’avvicinarsi delle elezioni. 

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