Democrazia, Dittatura e Giustizia

Il 29 luglio 1900 nel parco della Villa Reale di Monza l’anarchico Gaetano Bresci attentò alla vita del Re d’Italia Umberto I, uccidendolo. Fu immediatamente arrestato e processato per il reato più grave che l’ordinamento giuridico potesse prevedere: l’uccisione del monarca regnante. Non fu tuttavia condannato a morte, per la semplice ragione che il codice penale all’epoca vigente, il cosiddetto Codice Zanardelli entrato in vigore il 1° gennaio 1890, aveva abolito la pena capitale offrendo al mondo uno di quegli esempi di civiltà di cui talora l’Italia è capace. Bresci, che senza alcun dubbio era colpevole del reato ascrittogli, fu quindi condannato all’ergastolo.

Nel 1933 fu invece processato a Berlino il giovane olandese Marinus Van der Lubbe, accusato di avere appiccato l’incendio che il 27 febbraio 1933 aveva devastato il Palazzo del Reichstag, sede del parlamento tedesco. Particolare non irrilevante è che il comunista Van der Lubbe era probabilmente innocente: fiumi d’inchiostro sono stati versati sulla vicenda e l’ipotesi storicamente più accreditata è che l’incendio fosse stato appiccato dai nazisti e che rientrasse in una sorta di strategia della tensione da cui avrebbe tratto – e da cui effettivamente trasse – vantaggio la loro nascente dittatura. Ma non è questo il punto che qui interessa. Nel febbraio 1933 – epoca dell’incendio – anche il codice penale tedesco non prevedeva la pena di di morte. Tuttavia Marinus Van der Lubbe fu processato a Lipsia alcuni mesi dopo, condannato a morte e decapitato il 10 gennaio 1934. Tale esito processuale fu possibile in forza di una legge, entrata in vigore dopo l’incendio del Reichstag, che aveva reintrodotto la pena capitale.

Il principio dell’irretroattività della legge penale è un caposaldo degli stati di diritto. In base a quel principio nessuno può essere condannato in forza di una norma entrata in vigore dopo la consumazione del reato e – corollario importante – il soggetto colpevole non può essere condannato a una pena più grave eventualmente prevista da una norma entrata in vigore successivamente. Come s’è visto tale principio fu rispettato nell’Italia del 1900, mentre non lo fu nella Germania del 1933. La motivazione è di una straordinaria semplicità: il Regno d’Italia del 1900, pur con tantissimi limiti e imperfezioni, era una democrazia, mentre la Germania del 1933 era già di fatto diventata una dittatura.

Nel nostro ordinamento il principio dell’irretroattività della legge penale è sancito non solo dall’art. 2 del codice penale, ma anche – e soprattutto – dalla Costituzione il cui 2° comma dell’art 25 così recita:

Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

Tale principio si pone come garanzia di certezza del diritto e altresì di libertà della persona, la quale nell’accingersi a compiere – o ad omettere – qualsiasi comportamento è in grado di conoscere se esso sia lecito o meno e, conseguentemente, se lo esporrà o meno a sanzioni.

Viceversa, laddove il principio dell’irretroattività non sia vigente, o venga disapplicato benché vigente , chiunque potrà sempre rimanere vittima di sanzioni decise a posteriori e, quindi, anche di possibili ingiustificate vendette o ritorsioni da parte dell’autorità. Una breve considerazione non può mancare, visto il momento drammatico che stiamo vivendo, riferita all’attualità. E’ noto che in Russia sono state recentemente emanate norme pesantemente liberticide contro il diritto di espressione e di stampa. Non sappiamo se le stesse saranno o meno utilizzate anche per punire condotte precedenti alla loro entrata in vigore. Auguriamoci di no, ma visto il livello di inesistente democrazia in cui quel paese è scivolato non c’è da essere troppo ottimisti.

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