Dov’è il fronte progressista?

Per il centrodestra non è mai stato così semplice vincere, anche in una partita piuttosto scontata come le regionali appena concluse. È facile vincere senza opposizioni; con il PD più preoccupato del congresso rispetto alla contesa politica, il M5S alla prova del sorpasso e Calenda in sordina, il 50% per i due candidati (Fontana e Rocca) già ai primi exit poll era prevedibile. Di fronte a una destra in volata, dov’è il fronte progressista?

Il PD è arrivato al voto senza troppe speranze e con la consapevolezza che la campagna elettorale fatta sui territori di Lazio e Lombardia è stata scarsa. Alessio d’Amato, che pure era il miglior candidato che questo PD potesse schierare, si è visto quasi soltanto sui pannelli degli autobus. Se la dirigenza romana dei dem ha pensato che sarebbe bastata una discreta gestione dell’emergenza Covid a convincere gli elettori, allora ha fatto i calcoli in maniera sbagliata. La poca campagna elettorale nel Lazio, forse per via di una sconfitta annunciata, è stata un’occasione mancata: non per vincere, ma per dimostrare agli elettori che esiste ancora un partito alfiere della sinistra.

Obiettivo a cui, invece, punta Giuseppe Conte, benché le percentuali rispetto al PD siano ben più basse. La speranza dell’ex premier era quella di replicare il quadro emerso dopo le regionali del 2018: 22% M5S, 21% PD. Oggi un risultato simile avrebbe portato Conte a forzare la mano sui rapporti all’interno del fronte – o quel che ne rimane. E, soprattutto, a prepararsi alle europee con la consapevolezza di essere il primo partito di opposizione. Così non è stato, ma occorre ricordare che, laddove il M5S è abbastanza compatto, il PD è in fase congressuale. Una stagione di rinnovamento che sembra essere solo annunciato, a giudicare dai temi e dai toni; ciò gioverebbe a un Movimento sì in calo, ma con una leadership solida.

La mina vagante, a sinistra, è Calenda. Che è in piena antitesi con il Movimento Cinque Stelle (da ricordare il recente scontro al Senato tra Renzi e Scarpinato), ma da solo non sfonda come, invece, aveva dimostrato alle comunali di Roma. Il 3/4% sta stretto a due leader, Renzi e Calenda, che hanno l’ambizione di costruire il polo di appartenenza dei liberali e dei progressisti. Peraltro Calenda aveva spinto con forza le candidature di Alessio d’Amato e Letizia Moratti, entrambi sconfitti, con l’ultima la cui lista ha fatto registrare numeri più alti della lista di partito Az/Iv. 

Come può, dunque, edificarsi ed esistere un fronte composto da partiti disconnessi e alcuni (PD) lacerati dalle dispute correntizie? Nel Lazio PD e Az/Iv hanno sostenuto lo stesso candidato, il M5S no, insieme al quale nella precedente consiliatura peraltro il PD amministrava. In Lombardia, invece, l’opposto: PD e M5S insieme, gli altri da soli. Finché queste singolarità non riusciranno a coesistere, per la destra sarà sempre facile. Un consenso, quello della Meloni, asso pigliatutto della coalizione, che è fatto da assenza di opposizione e continui attacchi mediatici. Se la sinistra vorrà ricompattarsi, dovrà mettere a tacere la propaganda gratuita e offensiva di certe TV e alcuni giornali e ricostruirsi sui territori.  Altrimenti la gara sarà sempre tra squadre di diversa lega. 

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