Egitto: la puntura dello scorpione

Una rivoluzione culturale che non ha eguali nel mondo mediorientale. Ma che ha mostrato tutte le sue contraddizioni in paesi dove gli istituti democratici sono assenti. Fu questa la Primavera araba. Esplose da un atto estremo ma isolato: nel dicembre 2010 un venditore ambulante, Mohamed Bouzazi, si diede fuoco per protestare ai soprusi della polizia tunisina che voleva togliergli lo spazi per il suo unico mezzo di sostentamento, lo spazio per il suo carretto. La rivoluzione esplose per le strade di Tunisi, mescolando giuste rivendicazioni a estremismi (la bandiera nera dell’Isis per prima fu fatta sventolare lì, ricordi?), e dilagò in regioni immobilizzate da anni in una stagnante immobilismo culturale e politico. Ma se i sentimenti erano senz’altro comuni ai giovani arabi, gli effetti sono stati diversi per ogni paese.

Cos’è rimasto di quella stagione? L’Egitto, nella tarda estate del 2019, viveva tensioni evidenti già prima della mia partenza per Il Cairo. Come quando dopo un derby tra due squadre di calcio, in centinaia si riunirono in Piazza Tahir il 21 settembre chiedendo a gran vice le dimissioni del Presidente Abdel Fattah al Sisi: 36 arresti in tutta la regione. Il generalissimo è al potere dal 2013. E da allora ciò ha coinciso con la chiusura di siti di protesta, annullamento di diverse libertà, bagni di sangue. Sisi era l’ultimo di una lunga teoria di generali al comando nel paese dei faraoni. I militari qui hanno sempre contato, e tanto. Prima avevano tentato di creare un governo fantoccio con l’appoggio popolare dei Fratelli musulmani di Morsi. Poi, approfittando di nuove proteste contro il neonato governo (che aveva avanzato proposte di modifica costituzione anch’esse piuttosto dittatoriali), avevano assunto in controllo totale schiacciando ogni opposizione. Ma se si vuole sapere cosa ne pensa la gente, il modo migliore è chiederglielo. E a Il Cairo tutte le opinioni passano per i taxisti. Abusivi e regolari intasano il traffico della città araba supplendo ai mezzi pubblici. Ogni autista trasporta in media tra le dieci e le venti persone a giornata e ascoltano infinite opinioni popolari, assorbendole come spugne sulla sabbia dei loro sgangherati mezzi. Come per ogni personaggio controverso, le opinioni sono contrastanti. “Ha riportato l’ordine. È una buona cosa”. “Non è una brava persona, come tutti i soldati”.

Allora proviamo a chiedere ai tanti giovani che popolano il quartiere universitario nei pressi di Piazza Tahir. E con sorpresa anche tra quelli che dovrebbero essere i principali artefici della Primavera, non mancano i sostenitori del generale. Come Mera D., 22 anni studentessa di economia di Alessandria, secondo cui “Sisi ha riportato l’ordine in un paese allo sbando. E’ stata la cosa migliore per l’Egitto”. La sera ci fermiamo sulla terrazza dell’Osiris Hotel per il rito del narghilè con un vecchio amico, Alà S., 29 anni. Mentre mi parla il sole tramonta dietro la cittadella. La città vecchia sotto di noi scompare nelle ombre e nei canti dei muezzin. “In un paese povero e con tanta ignoranza è riuscito a far credere che avrebbe riportato l’ordine e la crescita economica. Oggi tutti quelli che l’hanno appoggiato all’inizio sanno di aver fatto un errore, ma non lo vogliono ammettere che è un dittatore. La crisi e il debito pubblico sono peggiorati, ci sono stati molti scandali di corruzione, il divario tra poveri e ricchi è aumentato. L’unico equilibrio che ha trovato è con le altre potenze locali per mantenersi al potere. Un altro faraone”.

Il sospetto che la sensazione di sicurezza sia la principale preoccupazione del regime, mi viene notando i posti di blocco dei militari e metal detector posti davanti a musei, uffici, siti archeologici, ingressi di ferrovie e metro, hotel internazionali, porti per le navi da crociera, incroci stradali, e perfino alcuni bar occidentali. Militari, e persone qualunque, sembrano curiosi al passaggio dei pochi europei in città e ci chiedono spesso la nostra provenienza. Qui i danni al turismo dalla rivoluzione a oggi sono stati incalcolabili per un paese il quale ha una fascia di popolazione tra i 15 e i 24 anni tra le più alte del mondo. Questo dato, combinato con l’altissimo tasso di disoccupazione giovanile (oltre il 30%), crea una situazione esplosiva nella società. La stessa che poi è stata alla base della rivoluzione che ha abbattuto Mubarak. Insieme ai problemi endemici delle repubbliche arabe: uno Stato fortemente centralizzato, assenza di pluralismo politico, mancanza di legittimità, forti barriere alla partecipazione alla vita politica, repressione sociale e corruzione. La corruzione appunto. E’ sorprendente quanto un biglietto da 20 euro apra le porte di gran parte dei siti archeologici se si arriva dopo l’orario di chiusura.

Quello che mi premeva sapere nel mio viaggio però rimaneva oscuro: perché la rivolta avesse avuto così successo e se ci fossero i germi di un ritorno. Avventurandosi nella periferia del Cairo, come nel profondo sud del paese, fu sicuramente illuminante. Qui il mondo non sembra cambiato da secoli. Il mercato è ancora il centro di tutti i commerci, compreso quello delle piante terapeutiche. Il khobez si compra nel fornaio di fiducia sotto casa. Le donne, coperte da veli integrali, si scambiano i pettegolezzi da un balcone a un altro. Gli uomini perseguono lentamente le loro modeste attività ai bordi delle strade, concedendosi numerose pause per fumare e bere il più zuccherato dei qahwah. Lungo il Nilo i figli imparano dai genitori come coltivare il frumento, immersi fino alle ginocchia nel limo. Così come hanno fatto i loro nonni, e i nonni dei loro nonni, in un rito senza origine. Ecco, se non si comprende prima il profondo legame degli egiziani con la loro terra e le loro tradizioni, non si comprendono del tutto i motivi della Primavera araba. Se infatti Halliday (“The Middle East in International Relations: Power, Politics and Ideology”, 2011)ha affermato che le proteste si sono scatenate per il malcontento contro l’immobilismo della società e lo strapotere dello stato, è altrettanto vero che queste sono state alimentate quando un gruppo politico ben radicato e amato dalle fasce più povere, i Fratelli mussulmani, le hanno dato autorevolezza.

“Ci saranno altre rivoluzioni? Inshallah, se Dio vuole, no. Ma temo di sì. I giovani oggi se gli dai 5 lire, le gettano a terra perché non si accontentano. Non hanno più pazienza”, mi disse una sera la mia guida Osama nel viaggio via nave lungo il Nilo, all’altezza di Edfu. “Quando facevo il praticantato di archeologia dovevo scavare nei posti peggiori ed era sempre infestato di scorpioni. La loro puntura è dolorosissima. Questo è l’Egitto oggi. Se smuovi troppo la gente è pronta a pungere senza preavviso”. La nave virò placidamente verso sud uscendo dal porto. Oltre il fiume scorreva placidamente, tanto da sembrare fermo. “Senta che caldo. Chi ha voglia di agitarsi con questo caldo. I giovani non hanno esperienza: non capiscono che in Egitto i cambiamenti sono e saranno sempre molto, molto lenti”.

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