Elezioni Turchia: ce la farà Erdoğan?

Oggi è un giorno importante per la Turchia perché milioni di cittadini stanno per eleggere il nuovo presidente della nazione e rinnovare i 600 seggi del Parlamento unicamerale. Le attenzioni si riversano tutte sul presidente uscente Recep Tayyip Erdogan che guida la Turchia da circa vent’anni, prima come ministro poi come presidente per due mandati consecutivi. 

Secondo alcuni sondaggi, Erdogan questa volta partirebbe in svantaggio rispetto ai suoi avversari, in particolare di Kemal Kilicdaroglu, 74 anni, socialdemocratico. Leader del Partito Repubblicano del Popolo (Chp), la principale opposizione del Sultano in Turchia, è pronto a sfidarlo e a giudicarsi il posto di comando. Kilicdaroglu ha studiato al meglio la propria strategia elettorale: ha unito a sé ben sei partiti (La Tavola dei Sei), anche se non tutti erano convinti all’inizio di sostenerlo per le presidenziali. Piuttosto, aveva provocato una profonda spaccatura nell’opposizione con l’uscita dal blocco del Buon Partito (Iyi), seconda forza dopo il Chp, la cui leader Meral Aksener preferiva il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu e quello di Ankara Mansur Yavas. Il compromesso che ha salvato l’opposizione è che, in caso di vittoria, i due sindaci saranno i vice di Kilicdaroglu. 

Chi è Kemal Kilicdaroglu?

Non particolarmente carismatico, è un politico molto popolare e noto per la sua onestà e frugalità. Da molti anni ai ferri corti con Erdogan, il leader del Chp dal 2010 non ha ottenuto grandi successi elettorali: nel 2002 fu eletto per la prima volta deputato e venne sconfitto alle elezioni amministrative di Istanbul nel 2009. Nel 2011 per lui ed il suo partito le elezioni si conclusero positivamente, nonostante il partito dell’Akp li superò nettamente. Un risultato analogo lo raggiunse nel 2015, mentre nel 2018 il suo partito superò di poco il 30% dei voti. Nel 2016 si ritrovò nel mezzo di uno scontro armato – non rivolto a lui – tra alcuni uomini e militari nella provincia di Artvin sul Mar Nero, dove persero la vita due soldati. 

L’anno dopo i media internazionali parlarono molto di Kilicdaroglu che si era messo alla guida di una marcia pacifica da Ankara ad Istanbul per chiedere una riforma del sistema giudiziario. Fu mosso, in questo caso, dalla condanna secondo lui ingiusta a 25 anni di carcere del giornalista parlamentare del Chp Enis Berberoglu, accusato di spionaggio e di aver fornito al quotidiano Cumhuriyet informazioni di scoop che avrebbero causato non pochi danni al governo in carica. 

La sua campagna elettorale

Kemal Kilicdaroglu ha promesso, in caso di vittoria, di governare la Turchia in modo molto più democratico rispetto a quanto ha fatto finora Erdogan:

Libererò il Paese da una leadership autoritaria

È noto da tempo, ormai, l’attuale presidente ha condotto nei suoi vent’anni una politica sempre più antidemocratica ed ha applicato un opprimente autoritarismo, che ha via via ridotto e minacciato quel minimo di indipendenza di cui le istituzioni godevano. Kilicdaroglu ha espressamente costruito la sua campagna elettorale in memoria degli antichi valori democratici istituiti da Kemal Atatürk. 

Forse, potrebbe essere questa la causa del suo vantaggio elettorale rispetto al Sultano? Sicuramente, porterebbe una ventata di novità nella nazione che sarà finalmente più vicina ai giovani che vogliono la democrazia e non la polizia che si presenta alle loro porte tutte le mattine solo perché hanno messo un post su Twitter! Attualmente, non c’è libertà di espressione, in qualsiasi forma si possa manifestare…

Un altro elemento fondamentale della sua campagna elettorale è stata la sua vicinanza agli aleviti. Questa minoranza con riti e regole diverse rispetto a quelli dell’Islam è stata, da sempre, vittima di discriminazioni e massacri. Di fatti, ancora oggi molti sunniti estremisti considerano gli aleviti eretici rifiutandosi di mangiare e di bere – nel caso ci fosse occasione – con loro e qualsiasi piatto cucinato da loro “impuri”. Se dovesse essere eletto, Kilicdaroglu ha promesso di condannare queste discriminazioni.  

Sull’aspetto della politica estera, invece, la sua priorità è quella di ricostruire i rapporti con l’Occidente e abbandonare quelli con il Cremlino:

Vogliamo entrare a far parte del mondo civilizzato. Vogliamo media liberi e una magistratura totalmente indipendente. Erdogan non la pensa così. Vuole essere autoritario. La differenza tra noi ed Erdogan è come il bianco e il nero.

Una dichiarazione importante e che fa bene sperare i colossi occidentali, in questo momento storico spettatori dell’atto teatrale dei Paesi orientali. Di fatti, la sconfitta del Sultano potrebbe diventare una notizia di forte rilevanza nel Medio Oriente, dove Erdogan ha sempre cercato di imporre la sua influenza.

I seggi sono oltre 190 mila in tutto il paese, operanti dalle ore 8 (locali, 7 italiane) della mattina e si sono concluse alle 17 (16 italiane). I risultati dovrebbero arrivare già in tarda serata e sembra che Il Sultano abbia ripreso quota:

Mi auguro che dopo la conta dei voti ci siano benefici per la democrazia turca

Queste le parole del presidente uscente dopo aver confermato il suo voto. Sa di avere un ruolo molto influente, in particolare dopo la riforma costituzionale introdotta dopo la sua rielezione nel 2017. La riforma ha trasformato il paese da Repubblica Parlamentare a Repubblica Presidenziale, così che potesse avere più poteri e abolire la carico di primo ministro. Infatti, in questo modo è direttamente il cittadino turco ad eleggere il suo presidente, che resterà poi in carica per cinque anni. 

Al di là di chi sia il vincitore, si troverà alla guida di un paese economicamente disastroso, con un’inflazione altissima, una moneta ai minimi storici, conti pubblici insostenibili e notevoli tensioni sociali. 

Ma la domanda giusta è: la Turchia vuole davvero cambiare il suo destino?

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