Esterno Notte – Parte 2: ode alla prospettiva

Esterno Notte è il film che l’Italia non merita ma quello di cui ha un disperato bisogno.

È la catabasi in cui Bellocchio, moderno Virgilio, ci porta nei meandri del 1978, per vedere sì la morte di Aldo Moro ma anche gli inferi di un contesto socio-culturale e un’orchestra di personaggi politico-religiosi che fanno da sfondo alla Via Crucis del Presidente della Democrazia Cristiana.

Genesi: non meritiamo Bellocchio 

I dati del botteghino, sino al 14/06, (sommando entrambe le parti) segnano circa 600.000€ di incasso e poco meno di 100.000 spettatori, dati fatiscenti se confrontati con quelli dei grandi nomi statunitensi tra cui Top Gun: MaverickJurassic World e Doctor Strange

Vi sono, tuttavia, delle premesse da fare: in primis, proporre al cinema un prodotto seriale è piuttosto svantaggioso. Cinque ore e mezza (divise in due parti) sono un tempo a cui lo spettatore medio non è abituato e che, sicuramente, preferirebbe vedere comodamente da casa, con la possibilità di premere il tasto pausa in ogni momento che desidera.  

Secondo poi, il prodotto filmico legato ad Aldo Moro e agli anni di piombo è sì un prodotto vivo nella memoria di tutti ma è anche un topic che negli ultimi anni è stato spolpato vivo per poterne raccontare ogni angolazione e lo spettatore medio è più interessato al multiverso che alle pellicole autoriali. 

Il terzo aspetto da considerare è che se sommiamo la lunghezza della pellicola con l’obbligo della mascherina FFP2 quello che otteniamo è una poca partecipazione in sala. D’altronde come dichiarato dall’Associazione Nazionale Esercenti Cinema “Sono due anni che con senso di responsabilità gli esercenti hanno preso atto delle stringenti misure, applicate ogni volta in prima istanza ai cinema, ma adesso l’accanimento non è più comprensibile. La filiera ha evidente la profonda crisi del cinema in sala che colpisce pesantemente e maggiormente le produzioni nazionali, e anziché procedere nell’indirizzo di sostegno, si operano soluzioni che affossano e basta”. 

Il 15 giugno è ufficialmente terminata questa restrizione e sarebbe stato curioso osservare la possibile variazione al botteghino per la seconda parte di Esterno Notte che è già introvabile in molti cinema. 

La qualità 

La qualità di Esterno Notte non è solo nella strepitosa interpretazione del cast o nella fotografia, di cui Francesco Di Giacomo è stato maestro, ma nella myse en abyme di Bellocchio che continua a farci rivivere il rapimento Moro dalle angolazioni prima politiche, poi papali e infine umane.

Curioso è notare come il quarto e quinto episodio siano due lati della stessa medaglia: da una parte i brigatisti Adriana Faranda (interpretata da Daniela Marra) e Valerio Morucci (Gabriel Montesi), tra esaltazione e ideali sfumati; dall’altra la famiglia Moro tra dolore e speranza.

Bellocchio non vuole portare lo spettatore ad avere pietà per le vite (e le famiglie) degli uomini delle Brigate Rosse (per citare la lettera indirizzata agli stessi da Papa Paolo VI) ma di compiere un processo di umanizzazione. Sergio Castellitto, che prossimamente interpreterà il generale Dalla Chiesa in una serie Rai, ha parlato del suo ruolo al Corriere, spiegando come la straordinarietà del ruolo che ha interpretato è legata «al suo non essere solo un soldato, un carabiniere, ma un grande investigatore, anche attraverso l’intuizione psicologica: è stato uno dei primi a capire che per poter comprendere il terrorismo non si poteva prescindere dal fatto che un processo rivoluzionario nasce sempre da una crisi delle istituzioni, e lui ha intuito che per capire quel processo e combatterlo, era importante normalizzare, umanizzare il nemico. I terroristi per arrivare a uccidere il nemico dovevano disumanizzarlo, demonizzarlo; Dalla Chiesa invece adottava il processo contrario. L’indignazione a prescindere, che è sacrosanta, è invece spesso l’anticamera della propaganda».

Thanatos

Per questo non concordo con le recensioni che, in modo sbrigativo, pongono all’interno di Esterno Notte le due donne una come rappresentante del male, l’altra del bene: non è questo quello che Bellocchio ha voluto raccontare. Perché chiamare la prima mostro e la seconda angelo deumanizza le stesse, facendoci perdere i loro modelli comportamentali più umani e fragili.

Per comprendere la prima non servono i rumori d’arma da fuoco ma il pathos del campo e controcampo con il manifesto di Margherita Cagol, una delle protagoniste della lotta armata e divenuta martire delle BR dopo la sua uccisione nel giugno del 1975. “Che mille braccia si protendano per raccogliere il suo fucile!”, recita il comunicato del gruppo terroristico e come per la sinistra turca – analizzata dall’antropologo D’Orsi nel suo Oltraggi della memoria – questo diventa monito per far sanguinare la ferita; per non permettere che questa venga dimenticata. Ecco che la Faranda è quasi punita dallo sguardo di Mara che, delusa, guarda alla sua compagna che non imbraccia più l’arma per restare a casa ed eseguire gli ordini del gruppo armato. Lei, che al contrario del suo compagno Morucci crede veramente nella rivoluzione proletaria e che non vuole solo morire da eroe perdente, diviene così il simbolo delle divisioni interne, delle spaccature, dell’irascibilità, del conflitto e quindi, dell’impulso alla distruzione.

Ha rinunciato alla maternità per i suoi ideali, sacrificando così la figlia per dedicarsi alla rivoluzione ma a quale prezzo? Evadere un sistema per sottomettersi ad un altro? Disobbedire allo stato solo per prendere ordini da altre persone?

Eros

«Io glielo dicevo: guarda come cammini verso la tua morte. E lui lo sapeva benissimo. Era il suo abito mentale, il suo modo di vivere. Era un uomo che amava il merito, la pulizia morale, l’onestà delle persone, la bontà. È un dato di fatto che Aldo, arrivato al potere, non lo abbia usato per fare del male a qualcuno. Continuamente il male gli cadeva sotto gli occhi: il tale aveva rubato, quell’altro aveva imbrogliato, l’altro ancora aveva messo nei guai tutta la famiglia. Lui cercava sempre di riparare, ma poi cercava di mettere chi aveva sbagliato in un angolino, in modo che non potesse nuocere più di tanto. In un paese come l’Italia, con la voglia di fare carriera che hanno tutti, non era poco».

Se a rappresentare l’impulso della distruzione non può che essere Adriana Faranda, è nella figura di Eleonora Moro che scoviamo invece la figura dell’Eros, inteso come amore creatore di vita. Una vita condivisa con suo marito e con le sue abitudini ossessive: tra la casa vuota e la solitudine nel letto l’immagine più struggente è quella dei fornelli che la stessa accende quasi nella speranza che il marito venga a spegnerli.

Nora è altresì raffigurazione della pietas cristiana che, come Maria, è pronta alla morte di Gesù, anche lei con risolutezza affronta il destino riservato al marito con la stessa difficoltà presentata a Maria: perdonare. Chi, d’altronde, non avrebbe odiato i romani che avevano appena crocifisso il figlio? Chi, altresì, non avrebbe odiato i brigatisti che avevano appena ucciso il marito? 

«Dopo la morte di mio marito mi sono messa a studiare, dal punto di vista cattolico, la difficoltà del perdono. Perché uno può dire: li voglio perdonare. E io, nel profondo, li ho perdonati. Ma quando li vedo, attraverso la strada e vado dall’altra parte. Più che la morte di mio marito, mi ferisce il fatto che sia morto un innocente a causa delle perverse mire di quattro stupidi mascalzoni. Se solo fossero stati modestamente intelligenti avrebbero capito che al potere non si arriva mai attraverso il delitto».

Queste dichiarazioni non sono solo utili per comprendere la cristianità della Signora Moro ma anche per carpirne l’intelligenza: una donna che tanto nei processi quanto nell’interpretazione in Esterno Notte della Buy rapisce per la scaltrezza con la quale aveva inteso prima di tutti che «lo Stato voleva la morte di Aldo Moro. Quelli che erano nei vari posti di comando lo volevano eliminare». 

Apocalisse: la fine di Moro

“Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo.
Amore mio, sentimi sempre con te e tienimi stretto”.

Non penso sia complesso immaginare la fine. D’altronde la vicenda è ahimè nota: Moro verrà ritrovato morto in una Renault 4 rossa in Via Caetani, una delle ramificazioni proprio di Via delle Botteghe Oscure, sede del PCI. Tuttavia, per Bellocchio, anche la fine nasconde negli interrogativi e così, nel sogno lucido seppur paranoico di Cossiga — interpretato da uno straordinario Fausto Alesi —  su un Moro vivo, ritrovato nella stessa macchina, finiamo per domandarci: e se Moro fosse sopravvissuto? Cosa ne sarebbe stato di lui? Cosa ne sarebbe stata della politica sgretolata da Bellocchio in Esterno Notte?

La fine di Moro è anche la fine “di un modo di essere della Repubblica italiana e dei suoi rapporti con la Chiesa cattolica. Quell’assenza evoca il parricidio consumato e forse, come è stato scritto con l’enfasi tipica dei reduci, «il suggello della fine di una rivoluzione»”. Il corpo di Moro è, infatti, lontano dalla sontuosa basilica di San Giovanni in Laterano in cui si stanno svolgendo le esequie; è lontano dal cardinal Poletti, da Papa Paolo VI, da presidenti, politici e ministri. Lui stesso aveva scritto: «per una evidente incompatibilità, chiedo che ai miei funerali non partecipino né Autorità dello Stato né uomini di partito. Chiedo di essere seguito dai pochi che mi hanno veramente voluto bene e sono degni perciò di accompagnarmi con la loro preghiera e con il loro amore».

Infatti, la salma è a più di 50km dalla basilica, precisamente al cimitero di Torrita Tiberina, un borgo alle porte di Roma. È stato tumulato lì, dopo il funerale in forma privata officiato il 10 maggio tra la pioggia e la nebbia nella chiesa di San Tommaso, situata in via della libertà. 

Le parole pronunciate dalla vedova il 16 maggio 1978, presso la basilica del Sacro Cuore di Cristo Re, sono aghi pungenti che, tuttavia, esplicano bene il messaggio conclusivo di questo articolo, di Esterno Notte e della storia di uno degli statisti più importanti del nostro Paese.

«Per i mandanti, gli esecutori e i fiancheggiatori di questo orribile delitto; per quelli che per gelosia, per viltà, per paura, per stupidità hanno ratificato la condanna a morte di un innocente; per me e i miei figli perché il senso di disperazione e di rabbia che ora proviamo si tramuti in lacrime di perdono, preghiamo».

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