Europee: il tabù di chiamarsi Matteo

Arriva con quella puntualità tipica soltanto della Sorella Morte che un certo Francesco nel Duecento citava nel suo Cantico delle Creature, l’appuntamento che molti aspettavano da tanto, che altri avrebbero voluto rimandare, che alcuni non sanno ancora che ci sarà, quello con le elezioni europee. C’è chi già assapora la vittoria, e sogna le famose cozze e patatine (moules et frites) di Bruxelles, chi ne ha fatto indigestione, ma come ogni obeso che si rispetti, spera di poter tornare a mangiarne ancora. Poi ci sono gli altri. I traghettatori di preferenze, i soldati semplici della politica, militanti e simpatizzanti. Ognuno ha la sua resa dei conti sui territori, un esercito da guidare, una guerriglia da combattere a colpi di fac simile, con nomi secchi o terne pitagoriche. Sì, perché in fondo dell’Europa, tanto decantata, non importa a nessuno, è soltanto una nuova guerra da combattere per contarsi, per marcare il territorio, e ridisegnare gli equilibri nei partiti. Sullo sfondo quel fantastico gioco chiamato politica, e noi inguaribili ludopatici.

Come ogni campagna elettorale quelli che si divertono di più sono i disimpegnati, quelli non candidati in prima persona, e neanche traghettatori di preferenze.

Dalla loro angolazione assaporano ogni sondaggio, e guardano allo scacchiere politico con interesse, e come camici bianchi sono pronti a decretare decessi e nuove nascite.

Il sistema dei partiti in Italia è come un grande reparto in cui convivono geriatria, neonatologia, ma anche pediatria. Le porte sono comunicanti, quindi passare dall’uno all’altro è davvero semplice. I leader nascono… E invecchiano. Nella Terza Repubblica non c’è più spazio per l’adolescenza e la maturità. Accade che un anno prima siano venerati e un anno dopo finiscano nel dimenticatoio.  Renzi docet. Lontani i tempi della prima Repubblica, in cui il partito era un credo, in cui si era missini prima che almirantiani, comunisti prima che berlingueriani, democristiani prima che andreottiani. Immaginiamo una Lega senza Matteo Salvini, una Forza Italia senza Silvio Berlusconi.

Sì, proprio così, non avrebbero senso. O perlomeno non avrebbero le percentuali a cui solo e soltanto i loro leader li conducono.

Ma allora la vera sfida di queste europee qual è?

Sarebbe quella di tornare a credere in qualcosa, al di là del leader del momento.

È ancora possibile?

Forse. Certamente la vera sfida dell’unico politico  attualmente in grado di riempire le piazze, Matteo Salvini, non è soltanto quella di fare il pieno alle europee, cannibalizzare Forza Italia, e magari eguagliare il famoso 40% di renziana memoria, è, in realtà, quella di essere amato anche tra tre mesi, anche l’anno prossimo, perché i tempi della politica vanno di pari passo con la durata  dei matrimoni in Italia. La rottamazione è sempre dietro l’angolo, e ce lo insegna l’esempio del rottamatore/ rottamato Matteo Renzi. La love story con l’Italia è stata fugace, uno di quegli  amori intensi, ma brevi, dal quale, però, è nata la Terza Repubblica, quella dei tweet e dei selfie,  in cui i leader hanno i mesi contati.

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