Gaza e Ucraina nel mondo televisivo: la guerra delle bombe e delle bugie

Da anni, quando i nostri discorsi quotidiani cadono sulle guerre, si ripete una frase tanto potente quanto veritiera: la storia si ripete. Magari cambieranno le sfaccettature, i personaggi, le tecnologie, il ruolo della società. Non cambierà però il modus operandi della guerra, volto a combattere sul campo con le armi (oggi anche biologiche e informatiche), e nella società con il racconto dei fatti, in base a cosa si descriva, in che modo e con che finalità. 

Penseremmo, allora, che di fronte ad immagini atroci possa non esistere contraddittorio, che tutte le forze politiche, tutti i media, i cittadini, la società, possano compattarsi non in un’unica narrazione, ma nel pieno riconoscimento di ciò che tragicamente osserviamo ogni giorno. Non è così. “Definisci guerra, definisci bambino, definisci genocidio, definisci morte, definisci carestia.” Perché, le immagini che arrivano dalla Palestina non sono già abbastanza in grado di dare una definizione? 

Le frasi cariche di odio e cattiveria pronunciate da esponenti del governo israeliano e nei social da cittadini israeliani nei confronti della popolazione palestinese, non sono abbastanza per rievocare fasi storiche in cui l’odio è stato protagonista?

Il caso di Enzo Iacchetti, volto noto della televisione italiana, che alza il tono della voce e utilizza un linguaggio acceso contro Eyal Mhiizra dice tutto. Ci si focalizza sul linguaggio, ci si concentra sulle parole, magari lo si etichetta. Ci si è divertiti a delineare etichette nei confronti di Iacchetti e, tristemente, una fetta del giornalismo italiano si è concentrata a criticare il soggetto e non a prendere in analisi ciò che ha detto. 

Basta poco per smontare le bugie che ci ripetono spesso gli esponenti del governo israeliano e che esponenti della politica e dell’informazione condividono. 

Per esempio, gli esponenti del governo Netanyahu affermano che, se gli ostaggi israeliani venissero restituiti e Hamas deponesse le armi, la guerra cesserebbe. Niente di più falso. Il movimento armato e terroristico di Hamas è nato nel 1987, mentre una delle prime occupazioni di Israele risale al 1967, anno della Guerra dei sei giorni, nella quale Israele ha occupato vasti territori fuori dal suo confine. Il contrasto tra ebrei e arabi, presente fin da prima del 1948, cioè anno della fondazione dello Stato di Israele, era accentuato dall’ideologia sionista. 

Eyal Mhiizra dice che “è grave entrare a Gaza City, perché la guerra l’ha voluta Hamas e morirebbero molti soldati.” I soldati combattono però anche contro un nemico pericolosissimo: i civili e i bambini. Questi ultimi, a differenza dei soldati dell’Idf,  non hanno scelto di morire. 

E mentre a Gaza piovono bombe e proiettili, in Italia piovono bugie. Le bugie di alcuni politici che, credono di trovarsi di fronte ad un’assenza di contraddittorio, fuggono al pensiero di essere contraddetti, magari smascherando le loro affermazioni. 

Dal Medio Oriente al Fronte dell’est

Anche la guerra in Ucraina ha un filo comune con quella di Gaza.

Da troppo tempo si ripete che le guerre in Israele e in Ucraina sono iniziate, rispettivamente, il 7 ottobre 2023 e il 24 febbraio 2022. No, le guerre sono cominciate dalla cause storiche, dalle radici e dalle fragili fondamenta su cui si basano. 

Se osserviamo la storia, il conflitto israelo-palestinese risale al 1948, mentre la guerra civile in Donbass (trasformata da guerra civile a conflitto tra Nato e Russia) risale al 2014, anno in cui la Russia ha annesso la Crimea. L’esercito ucraino intervenne brutalmente contro i separatisti delle repubbliche del Donbass, da sempre filorussi, originando il conflitto civile che ha poi condotto, il 24 febbraio 2022, all’invasione di Kiev da parte della Russia. 

Si giunse agli accordi di Minsk 1 e 2, siglati tra Russia e Ucraina, che avrebbero potuto portare ad una pace nella regione e a una maggiore autonomia e indipendenza della popolazione filorussa del Donbass, ma non sono mai stati rispettati. Dopo l’elezione di Zelensky del 2019, i tentativi di mediazione sono stati numerosi. L’Europa era ancora aperta ad un dialogo con Putin, promettendo che gli accordi sarebbero stati rispettati e riconoscendo anche le ragioni delle Russia. 

Emblematica la foto tra Putin e Macron che si stringono la mano. La stessa Europa, circa 3 anni dopo, avrebbe chiuso sempre di più i dialoghi con la Russia, chiamando di giorno in giorno l’invasione insieme agli Stati Uniti, che è poi tragicamente arrivata nel febbraio del 2022. 

Tra le armi, i morti, le bombe, ci siamo dimenticati tutto. La storia, gli eventi, le cause. Abbiamo lasciato che ogni singola parola pronunciata dalle nostre classi politiche fosse poco contestata o smontata, dall’Italia, all’Europa, fino all’intero occidente. Privo di una direzione, in un mare mosso e agitato, ricolmo di bugie, contraddizioni, morti. 

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