Lewis Wickes Hine e la lotta al lavoro minorile

Il 20 novembre si è celebrata la Giornata mondiale dei diritti dei bambini in ricordo della Dichiarazione dei diritti del fanciullo e della Convenzione sui diritti del fanciullo. La prima dichiarazione (adottata nel ’59 ) rappresentò una svolta per i diritti civili degli infanti su scala globale ponendo l’attenzione, tra le altre cose, sulla necessità di difendere le giovani generazioni dallo sfruttamento di ogni genere.


L’attenzione per il tema dello sfruttamento minorile, soprattutto in ambito lavorativo, si era manifestata però già decenni prima nelle pagine di critica sociale di diversi autori di area socialista. Tra questi, il sociologo e fotoreporter americano Lewis Wickes Hine fu un virtuoso punto di riferimento durante gli anni ‘10 del ‘900.
Nato nel 1874 nel Wisconsin, Lewis Hine perse il padre prematuramente e fu costretto a svolgere i più disperati lavori per mantenersi, riuscendo comunque a frequentare il college e poi l’Università a Chicago e a New York. Convinto che la fotografia non si limitasse ad essere uno strumento di cattura della realtà, ma che fosse anche un mezzo di emancipazione e riscatto sociale, Hine si occupò prima del fenomeno migratorio e poi dello sfruttamento dei minori negli Stati Uniti dell’epoca.


Lavorando per il Comitato Nazionale sul Lavoro Minorile (National Child Labour Committee) il fotoreporter riuscì a produrre una notevole quantità di scatti all’interno delle fabbriche dove lavoravano minori, immortalando una realtà allarmante: bambini sotto i 14 anni di età venivano impiegati tra le 10 e le 14 ore al giorno in ambienti di lavoro insalubri e pericolosi con il costante rischio di essere vittime di incidenti mortali.
Con l’operato del sociologo-fotoreporter l’opinione pubblica americana iniziò a riconoscere la necessità di frenare la barbarie perpetrata ai danni dei bambini lavoratori; una barbarie che all’epoca continuava anche in altre parti del globo, compresa l’Europa.


Anche grazie ai lavori come quello di Hine, l’attenzione dei paesi più sviluppati verso le condizioni dei minori crebbe esponenzialmente nel ‘900, raggiungendo traguardi che, almeno sulla carta, mettono oggi al riparo le giovani generazioni dalla piaga dello sfruttamento.
Ma mentre in occidente questo è un dramma quasi del tutto debellato, in altre aree del mondo è una vergognosa realtà lontana dall’essere estirpata. Basti pensare alle migliaia di bambini che in Congo estraggono a mano tonnellate di coltan, il materiale utile ad alimentare le batterie dei nostri cellulari e tablet. Nelle miniere del paese africano questi minori lavorano anche 14 ore al giorno, spesso sottoterra, con salari da fame, crolli frequenti nelle gallerie e il rischio di compromettere irrimediabilmente la loro salute.


Dai lavori di Lewis Hine è passato un secolo, ma la battaglia contro lo scempio dello sfruttamento del lavoro minorile ancora si combatte ed è lontana dall’essere vinta.

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