Il grido del Sudan che non si piega ai golpisti

Rimane alta la tensione in Sudan, dove da mesi continuano gli scontri tra le forze di sicurezza del paese e migliaia di cittadini. Nella giornata di lunedì 21 febbraio centinaia e centinaia di manifestanti sudanesi sono scesi nuovamente in piazza in tutto il paese per manifestare contro il colpo di stato militare di ottobre e per chiedere il rilascio dei civili prigionieri.

Un’ondata di proteste che da mesi vedono le strade e le piazze del Sudan riempirsi da cittadini e manifestanti che chiedono regolarmente e a gran voce in tutto il paese l’istituzione di un governo civile in Sudan, nonostante la continua e durissima repressione guidata dal capo dell’esercito Abdel Fattah al-Burhan.

Continueremo a manifestare per le strade finché non abbatteremo il governo militare e riporteremo la democrazia” ha affermato Salah Hamid, studente universitario di 22 anni, in una dichiarazione riportata da ArabNews dello scorso 11 febbraio, quando i manifestanti avevano marciato nuovamente per le strade di Khartum, capitale del paese

Siamo pronti a protestare tutto lanno”, ha detto un manifestante ai microfoni di Al Jazeera, ripreso da NovaNews.

Da mesi, infatti, il Sudan vive in una drammatica spirale di proteste e scontri civili che con le forze di sicurezza del paese, a seguito del golpe dei militari.

Il 25 ottobre dello scorso anno il generale Abdel Fattah al-Burhan aveva ordinato l’arresto dell’ex primo ministro Abdalla Hamdok insieme ad altri ministri e funzionati del governo, sciogliendo di fatto il Consiglio Sovrano militare-civile del paese e scrivendo la parola ‘fine’ al tentativo di guidare il Sudan verso la democrazia.

Dopo il rovesciamento dell’ex presidente e dittatore Omar Hasan Ahmad al-Bashir, destituito due anni fa, nell’aprile 2019, dalle Forze di Libertà e Cambiamento (FFC), la comunità internazionale aveva sostenuto un governo di transizione composto da politici e alcuni deputati delle milizie locali.

Da allora il Sudan si è trovato in un braccio di ferro continuo: una guerra civile combattuta tra i golpisti da una parte e i civili, sostenitori del nuovo processo di riformazione democratica del paese, dall’altra.

Dopo la destituzione di al-Bashir, al-Burhan ha ricoperto la carica di presidente del Consiglio militare transizione del Sudan, e quindi de facto capo di Stato del paese.

Abdalla Hamdok, economista e ex funzionario delle Nazioni Unite, già vicesegretario esecutivo della Commissione economica per l’Africa, ha ricoperto la carica di primo ministro del Sudan dall’agosto 2019 fino allo scorso 25 ottobre.

Lo scorso 21 settembre un nuovo tentato colpo di stato da parte di alcuni miliziani aveva riportato il disordine e gli scontri tra le strade del Sudan. Come riportato da Osservatorio Diritti, i sostenitori dell’ex presidente al-Bashir avevano presidiato la piazza davanti al parlamento chiedendo la destituzione di tutti i ministri di transizione e il premier Abdallah Hamdok aveva risposto indicando il 17 novembre 2021 come data per le elezioni libere e democratiche richieste dal popolo.

Dopo l’arresto nel mese di ottobre, Hamdok era stato reintegrato lo scorso novembre come primo ministro. Contemporaneamente al suo rientro, la comunità internazionale aveva richiesto un accordo per favorire la nascita di un governo tecnocratico indipendente sotto la supervisione militare da lui guidata. Accordo che poi è stato respinto dalla componente civile e pro-democrazia del paese, che in questi due anni ha continuano insistentemente a chiedere un governo civile che fosse completamente autonomo e libero dal controllo dei militari.

A seguito delle forti ondate di proteste svoltesi a Khartum, verificatesi dopo la mancata promessa di Hamdok, l’ex primo ministro si è dimesso nella serata di domenica 2 gennaio.

Secondo quanto riportato dai media regionali, e ripreso da NovaNews, dallinizio dellultima ondata di proteste, ad ottobre, sono state uccise 81 civili a seguito delle manifestazioni.

Dopo il colpo di stato, le autorità hanno arrestato dozzine di attivisti appartenenti ad alcuni ‘comitati di resistenza’, diffusi in tutto il paese, che hanno svolto un ruolo determinante nell’organizzazione delle proteste.

“Il numero di persone detenute arbitrariamente e senza accuse penali ha superato le 100”, ha affermato lunedì l’Associazione dei professionisti sudanesi, ripreso da Al Jazeera.

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