Il salone del libro di Torino: storie di idee e di premi

A cura di Riccardo Piazza e Rita Rassu

«Il prodotto che offriamo non deve essere solo di qualità ma anche esteticamente pregevole, qualcosa che sia bello da esporre e che faccia bene agli occhi».

Chi ha avuto il piacere di vedere gli stand al Salone Internazionale del Libro di Torino ma anche il catalogo online della ABEditore, è più che conscio che Antonella Castello, caporedattrice della medesima CE, non dice il falso. I prodotti della ABE hanno una cura maniacale, dalla ricerca tematica alla traduzione, dalla copertina alle illustrazioni, dagli aneddoti della Vita in Lettere di Dickens ai capolavori del Cartavolante, dalle Favole e Leggende del Giappone al Grimorio e il Sepolcro, niente viene lasciato al caso. Neanche la comunicazione.

«L’estetica dei nostri libri si è associata perfettamente all’impatto visual dei social network; per noi è importantissimo comunicare e approcciare con le persone. Noi non ci poniamo come superiori al lettore ma nella stessa condizione, essendo anche noi lettori in primis. Non possiamo che essere contenti di questo Salone, abbiamo avuto modo di parlare con tantissime persone che hanno apprezzato molto il materiale che abbiamo esposto (di cui dovremmo anche fare rifornimento visto l’exploit degli ultimi giorni)».

Perché l’editoria è anche e soprattutto idea. L’idea di una collana, di un progetto, di una copertina, di una performance. A conoscere bene questo mantra, sono proprio i fondatori di I.D.E.A. (Immagina Di Essere Altro), che conservano ancora lo spirito, il fervore negli occhi e gli ideali di quel primo progetto editoriale nato nel 2015. Nonostante gli anni passati, l’esperienza accumulata, gli ostacoli del mestiere e la serietà acquisita, sono ancora gli stessi che volevano dare al libro un messaggio e trasformarlo in romanzo.

«L’ideale è alla base tanto del progetto quanto della casa editrice» commenta Marco D’Abbruzzi «anche perché questo non si esaurisce col tempo, piuttosto si evolve con volontà e sinergia, il team è spronato a raggiungere tutti gli obbiettivi».

Un progetto che non ha bisogno di ripartenze perché come sottolineato da Claudia Cintio «non ha mai visto fermate perché – anche grazie al vantaggio dei social – abbiamo avuto il costante seguito dei nostri lettori. L’idea non è mai andata in crisi grazie alla nostra community». Una community che vive anche un contesto sociale diverso da quello di qualche decennio fa, dove per colpa di una retorica errata con cui i media etichettavano i nerd v’era molto meno seguito. Oggi, anche grazie allo sviluppo tecnologico e alla creazione di piattaforme come Twitch e alle live delle streamer professioniste, questa sensazione di emarginazione sociale non esiste più e il nerd oggi non è più solo lo stereotipato maschio ventenne. «Questo è anche un nuovo modello di editoria. Un modello che non isola il lettore con letture elitarie, un modello che non vede solo i numeri e il fare cassa. Un modello che punta sulla qualità invece che sulla quantità» afferma Marco. «Non troverete del mainstream nei nostri testi» rincara la dose Claudia.

Tanto una rivoluzione nell’editoria, quanto nel genere. L’obbiettivo è quello di dare nuova linfa alla fantascienza con autori che provengono dal mondo sia della letteratura tradizionale sia del self.

L’edizione Vita Nova è stata anche l’occasione per celebrare coloro che si sono contraddistinti quest’anno vincendo i premi più importanti della letteratura. Il Premio Strega Emanuele Trevi, autore di Due vite (Neri Pozza edizioni), evidenzia l’importanza del ricordo nella restituzione cristallina di personalità complesse eppure terribilmente felici e discute del suo rapporto con la scrittura.

«Compravo dei quaderni che rimanevano vuoti ma volevo solo scrivere. La scrittura è una giovinezza abbastanza disperata. È l’appuntamento con te stesso che ti manca».

Due vite è prima di tutto una storia d’amicizia, «un’amicizia pura che non chiede nulla in cambio. È una chiamata senza per forza un motivo. È un passatempo in cui non deve per forza succedere qualcosa come in amore. Non devono esserci per forza i colpi di scena».

Anno pieno di colpi di scena quello dell’autrice Giulia Caminito. Quarta al Premio Strega, vincitrice del Premio Strega Off, co-direttrice della neo collana Mosche d’Oro della Giulio Perrone Editore e vincitrice del Premio Campiello con il suo L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani). Nel testo, l’autrice crea un suo «io comodo ma scomodo» utilizzando la prima persona; un personaggio che pensa e parla in maniera diversa da lei, ma che si nutre della ricerca da «tombarola» — come lei stessa si definisce — per le strade di un paesino, fra le voci della gente; una ragazzina difficile da amare e in cui è complicato immedesimarsi perché sembra non amare nulla. L’unica cosa che ama è il quadratino della casa in cui è cresciuta, in cui c’è il giardino in cui non cresce niente ma di cui ama il piccolo scorcio in cui si intravede l’orizzonte.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here