Il nostro Salone: storie di maestri e di professori

A cura di Riccardo Piazza e Rita Rassu

Se me l’avessero detto prima li avrei presi per pazzi. Non potevo crederci. Lunghe file, applausi indomabili e l’Auditorium stracolmo. Alberto Angela si prende la scena al Salone del Libro di Torino. Non che sia strano vedere un tale seguito, considerando che è riuscito a battere diversi record con le sue trasmissioni, spesso in prima serata, spesso in concomitanza con le partite di calcio. Considerando i suoi oltre trecentottanta mila seguaci su Instagram, non dovrebbe essere ambiguo assistere ad una ressa tale da lasciare fuori dalla sala centinaia di fan. Eppure, dopo l’anno passato, dopo la pandemia, dopo tutte le persone perse — il cui numero è stato spesso messo a confronto dallo stesso Angela con quello delle persone che persero la vita nel grande incendio di Roma al tempo di Nerone – non avrei mai pensato di vedere delle file così lunghe per giovare dell’ascolto diretto di colui che è diventato la personificazione della cultura.

Alberto Angela ha definito quella platea gremita come «il meglio del nostro futuro» e non si può non essere d’accordo con lui. Spesso, si avverte nell’aere del Bel Paese come se si fosse perso il senso dell’orientamento, è innegabile; con la solita retorica della vecchia generazione che critica la nuova, con la dialettica che i social media abbiano “rincitrullito” gli adolescenti e con gli stereotipi sulla cultura che tutti ben conosciamo, è difficile pensarla diversamente. Eppure, quelle file estenuanti sono lo spot migliore per sfatare il mito e mostrare, a chi dice che in questo Paese non «esiste più religione», e forse ha anche ragione. Perché quelle migliaia di persone presenti in Auditorium, così come agli stand ospitanti centinaia di migliaia di libri, hanno una fede diversa; una di quelle che non sprona a farsi le guerre in nome di chissà chi ma di quelle che stimolano al continuo miglioramento: la fede nell’arte e nella cultura.

Alla conclusione della presentazione de “L’inferno su Roma” (HarperCollins), Alberto Angela ha dichiarato tra gli applausi che «forse è ritornata la luce dopo l’incendio» e il Salone del Libro è stato il sole di questa Vita Nova.

Se credeva di avere tutta la scena per lui, però, è perche non aveva ancora fatto i conti con la rockstar della storia medievale, il Professor Alessandro Barbero che, durante la presentazione di “Dante” (Laterza), ha raggiunto un gran numero di spettatori, talmente tanti che, annullare il firma copie previsto alla fine della conferenza, è stato causa di forza maggiore. Coloro che hanno avuto l’opportunità di ascoltare le sue parole, hanno tratto grandi insegnamenti dai suoi aneddoti di autore, persino quelli risalenti all’epoca dei suoi primi saggi e delle sue prime esperienze editoriali con lo stesso Laterza, presente a discorrere con lui. L’attenzione si è ovviamente poi mossa verso Dante, «il collante della nostra identità» a cui, pur non essendo stata risparmiata qualche critica in merito al suo atteggiamento moralistico, il professor Barbera ha reso giustizia, svelando il suo lato più umano; forse, l’elemento più importante all’interno di questa stupenda biografia, che è stata capace di attirare, non solo i specialisti ma anche tantissimi altri lettori che, di Dante, hanno sentito parlare fin dalla più  tenera età.

Al Salone del Libro, quest’anno, era presente anche il Maestro, non dei libri ma degli aneddoti, Carlo Verdone che presentava il suo “La carezza della memoria” (Bompiani). Il grande a(u)ttore, ha tirato fuori dallo scrigno di Pandora della sua Roma, della Roma degli anni Sessanta e Settanta, i suoi ricordi, i suoi oggetti, le sue fotografie. Nel corso della presentazione ha confessato che questo libro, gli appartiene più dei suoi film e che, in questo, c’è tutto il suo Io: «non l’ho scritto tanto per scriverlo». Verdone è un fiume in piena, troppo anche per Giannini che prova a guidarlo tra le pagine della sua vita dove si scorgono storie strappalacrime, amori impossibili e quel velo di malinconia che avvolge tutta la sua forte aura. Non dimentica neanche di toccare, con la sua consapevole ironia, i temi dell’attualità, riservando ai No Vax non poche battute: dopotutto, «come si può parlare con chi crede che nel vaccino ci siano i microchip?».

Presenza scenica, invidiabile penna e voce viva sono tra le caratteristiche di Maurizio de Giovanni  invece, che ha presentato “Angeli. Per i Bastardi di Pizzofalcone”. Recentemente premiato con il Nastro d’Argento speciale per la scrittura, De Giovanni è autore dei Romanzi del Commissario Ricciardi, de I bastardi di Pizzofalcone e di Mina Settembre: da queste opere sono state tratte le celebri serie televisive Rai. «Odio quando nei romanzi già nelle prime pagine riesco a distinguere i buoni dai cattivi. Questo perché è irreale. Nella vita nessuno è solo buono o solo cattivo. Ci sono delle fratture, delle problematiche, dei difetti che si possono risolvere in gruppo. Più coesa è la squadra meno le fratture sono pesanti. Questo è il senso dei bastardi. Più bastardo è un popolo più è sano, più è disponibile all’accoglienza. Io temo i puri perché sono fragili. Il bastardo che è conscio di esserlo è disponibile al miglioramento. I miei bastardi, sono perfettamente consapevoli di questo anche se nella fiction si intravede meno che nei miei libri».

Il Salone del libro è stato questo, e molto di più. E forse, è stato definitivamente chiaro proprio nella giornata du oggi, lunedì 18 ottobre, in cui la XXXIII edizione della fiera, si è chiusa fra gli applausi generali, nella conferenza stampa tenutasi alle ore 16.30 presso la Sala Oro. Dopo quasi due anni e mezzo, infatti, la comunità del Salone è tornata a casa, a Lingotto Fiere. “Sono tornati lettrici e lettori, scrittrici e scrittori, editori, insegnanti, studenti, famiglie, ragazzi, bambini, semplici cittadini e tanti volti nuovi – soprattutto giovani – che hanno risposto a una sfida senza precedenti, e l’hanno fatto in maniera altrettanto eccezionale”. Grazie alla riorganizzazione degli spazi è stato possibile accogliere in sicurezza un numero di ben 150.000 visitatori che, nei 18.000 metri quadrati in più di spazio, ricavati all’interno dei padiglioni 1, 2, 3 e Oval del centro polifunzionale Lingotto, hanno acquistato libri e parlato con autori, si sono incontrati e scontrati con amici e conoscenti ma, sopratutto, hanno ascoltato storie. E nel farlo, senza nemmeno rendersene conto, la storia l’anno fatta, scrivendo il Capitolo1 di quella che possiamo considerare, la vera prima ripartenza del mondo Culturale.

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