Il più prevedibile dei Super Tuesday, ora Biden vs Sanders fino all’ultimo colpo

In Italia molti giornalisti o “esperti” sono andati dietro negli scorsi mesi a suggestioni come l’ex Deputato di El Paso, Beto O’ Rourke o la Senatrice della California Kamala Harris, per non parlare dell’epopea sulla candidatura sì/candidatura no di Joe Biden, descritto spesso come “un Jeb Bush dei Democratici”. Erano, appunto, suggestioni del tutto scollegate dalla realtà.

In effetti in quell’infinito labirinto che è la politica USA, questa volta le cose sono state  piuttosto semplici. Più o meno tutto è andato come era verosimile aspettarsi andasse, e i punti salienti per commentare il Super Tuesday in casa Democrat sono grosso modo le conclusioni che si potevano trarre già un anno fa. Il Partito Democratico vive, dalla fine dell’era Obama, una grande spaccatura tra l’anima liberal-centrista che dagli anni ’90 ha sempre dominato il partito e un nuovo, per certi versi sorprendente, fascino per un modello di sinistra socialista e più radicale quanto mai inusuale negli States. Una lotta aspra già nel 2016 tra Clinton e Sanders, vinta sul filo del rasoio da Hillary non senza polemiche per aiuti e spinte nei suoi confronti ai limiti del lecito da parte delle alte sfere del partito, che si è replicata in questi mesi in un contesto più frammentato. Dei ben X candidati, avevano senso politico in quattro: Biden e Buttigieg per il fronte moderato, Sanders e Warren per quello più radicale. Più la sorpresa Bloomberg, arrivata come fulmine a ciel sereno a dicembre. Da questo contesto, era francamente facile immaginare che l’intero mondo moderato si sarebbe a un certo punto coalizzato intorno al suo esponente più noto: Joe Biden.

Il Super Tuesday, come spesso accade, era il momento giusto per capirci qualcosa di più. E sarebbe stato difficile pretendere un responso più netto.

Joe Biden è il front-runner del Partito Democratico. Era andato male in Iowa e New Hampshire, Stati su cui aveva puntato poco o nulla. La sua partita, oltre al Sud denso di elettori afroamericani e minoranze, era sui grandi Stati in grado di impattare concretamente nel conteggio dei delegati e così è stato. Una chiosa importante rispetto al risultato di Biden: gli endorsment di Buttigieg e Klobuchar hanno impattato decisamente poco, e Biden avrebbe vinto questo Super Tuesday anche senza. Tolto il  consenso della Klobuchar nel suo Minnesota, entrambi avevano percentuali attese davvero risibili in quasi tutti i 14 Stati. Hanno contribuito a creare attenzione mediatica e momentum per Biden. Ma sia chiaro, Biden ha vinto perché era ed è il candidato più forte in campo a queste primarie. Non per altro.

Mike Bloomberg è invece il grande sconfitto. 700 milioni di dollari spesi in poco più di due mesi per non vincere nemmeno uno Stato se non la barzelletta delle Isole Samoa e ottenere un centinaio scarso di delegati. Bloomberg non ha solo perso rovinosamente queste primarie. Ha compromesso in modo irrimediabile la propria immagine. Questo ci ricorda due cose: primo, per fare politica servono tantissimi soldi, ma tantissimi soldi non bastano per fare politica. Secondo, Trump nel 2016 non vinse perché da miliardario comprò l’elezione. Ma perché seppe leggere il popolo repubblicano, rappresentarlo e declinarlo comunicativamente. Fu un’operazione politica, non finanziaria. 

Bernie Sanders rimane l’unico in grado di contrastare Biden. Sarà difficile, ma non impossibile. Può contare su una grande mobilitazione di militanti, seppur meno travolgente del 2016. Strategico sarà convincere quanto prima al ritiro Elizabeth Warren, altra grande sconfitta di questo Super Tuesday, perdente persino nel suo Massachusetts e chiaramente all’epilogo di una corsa mai decollata. Sembrerebbe scontato il suo endorsment a Sanders, ma non lo è. L’astio fra i due è fortissimo, e potrebbe avere la meglio. Sanders ha però bisogno di una sfida 1 vs 1 per giocare la partita nuovo paradigma vs status quo.

Pete Buttigieg intanto ha conquistato senz’altro un posto nel Partito Democratico del futuro. Partito forte, con entusiasmo, ha avuto l’umiltà di capire che non è questa la sua partita. Verosimilmente, e con molte buoni ragioni per farlo, scommette su una netta sconfitta Dem contro Trump a novembre. Si è preso notorietà dalle primarie, ma non ci è rimasto dentro a sufficienza per pagarne dazio per il fallimento (come sta accadendo per esempio alla Warren). Nonostante il ritiro, un nome da tenere a mente.

L’unico reale ostacolo alla nomination di Biden è a questo punto una convention contestata, ossia senza che nessuno abbia la maggioranza necessaria di delegati per essere scelto. Era ciò su cui puntava Bloomberg per poter sparigliare le carte, e ciò che temeva di più Sanders. Potrebbe accadere, ma difficile che possa comunque risolversi in modo diverso da una investitura per Biden. In caso di convention contestata sarà fortissimo il potere di super-delegati e establishment del partito. Entrambi, a grande maggioranza tra le fila proprio di Biden.

Insomma, tutto porta a Joe Biden vs Donald Trump. Sleepy Joe pare essersi risvegliato! 

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