Gabriele D’Annunzio nasce il 12 marzo 1863 a Pescara da una famiglia benestante. Si trasferisce a Roma, a Firenze e in Francia per poi ritornare in Italia come interventista per il primo conflitto mondiale, durante il quale perde la vista. Da qui nasce l’opera “Il Notturno”, definito “il commentario della tenebra”, che racchiude tutte le sensazioni, i pensieri e le allucinazioni dovute ai dolori all’occhio.
La poetica di D’Annunzio, parimenti alla corrente dell’Estetismo, suscita il sentimento della bellezza: la vita dell’intellettuale è un’opera d’arte ed è inimitabile, come mostrano le sue esperienze lussuose presso i salotti romani, la sua burrascosa vita sentimentale con Eleonora Duse e la partecipazione nell’aviazione.
In virtù dell’Estetismo – al quale si dedica attraverso la lettura degli autori russi – i contenuti e i significati passano in secondo piano, per lasciar spazio al bello, alla piacevolezza, al lusso estremo, alla sperimentazione linguistica, atta a svincolarsi dalla tradizione: tale pensiero è racchiuso nel romanzo “Il Piacere”.
Oltre all’estetismo, il poeta, in “Alcyone”, “Merope”, “Canti della guerra latina”, incarna il mito del Superuomo, cioè un uomo nuovo capace di riconquistare il mondo con una vitalità forte, irresistibile ed eroica. Il concetto alla base di tali correnti di pensiero è il Decadentismo: la rottura con la società, con la massa borghese, con le tradizioni letterarie si attua attraverso un’arte classica o romantica, espressa attraverso uno schema metrico più libero.
Fautore del dannunzianesimo e della ricerca della bellezza, l’esteta D’Annunzio celebra una completa partecipazione lirica dell’uomo alla natura: il panismo (da “Pan” che significa “tutto” ma che è anche il dio greco con corna e zampe di capro) suggella la lirica più famosa del 1902, cioè “La pioggia nel pineto”, contenuta nella raccolta “Alcyone”.
Tale poesia sollecita tutti i sensi, incoraggia l’immersione dell’uomo nella natura, in una danza di parole che invitano al silenzio. L’imperativo iniziale dell’anafora “Taci” è l’incipit utile ad “ascoltare parole più nuove”, estraniarsi dalla dimensione terrena e assumere un atteggiamento di immersione panistica nel pianto irrefrenabile e nella metamorfosi di una natura bagnata dalla pioggia. La lirica è dedicata alla donna amata Eleonora Duse, indicata con Ermione (rimando classico alla figlia di Elena e Menelao), con la quale il poeta si trova in una pineta della Versilia. Entrambi si lasciano andare in tale concerto di pioggia, a cui si uniscono il canto delle cicale, delle rane e altri suoni musicali. Le voci misteriose della natura introducono i due amanti all’interno dello spirito del bosco, fino a confondersi e a diventare una cosa sola con la vegetazione.
La ninfa vitale delle piante, delle foglie, di tutta la natura diventa la loro: il volto silvano ed ebro di Ermione diventa una foglia, i suoi capelli profumano come ginestre (o il fiore del deserto di Leopardi), lungi dall’essere una semplice creatura umana. Vi è, dunque, un’umanizzazione della natura, percepita in tutte le sue forme. L’amore è, per il poeta, un’illusione (“favola bella”) in una vita fuggevole, colta in tutta sua finitezza: la ripetizione del nome dell’amata rimanda al tentativo di trattenere, senza mai riuscirci, un amore che non seppe meritarsi.
Gabriele D’Annunzio è definito il poeta vate per il suo culto della parola fortemente evocativa e capace di far vivere i suoni della natura, afferrando la vera essenza della realtà e assaporandola fino a identificarvisi.
La forza del verso poetico viaggia verso un altrove che spinge anche l’uomo odierno a elevarsi per distaccarsi dalla propria condizione terrena, per tacere le futilità della vita caotica e mondana, così da risorgere nella solitudine di un’altra dimensione, più sublime, più vera, più pura.
[…] Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca. […]