Il Premio Campiello e la sconfitta delle case editrici indipendenti

Con I miei stupidi intenti, Bernardo Zannoni è il vincitore del Premio Campiello 2022.

A soli 27 anni, lo scrittore esordiente di Sarzana batte un record assoluto, quello di essere l’autore più giovane di sempre a vincere il prestigioso premio.

Si è scritto tanto sulla sua conquista. Gli articoli leggibili sin dal giorno seguente, se non dalla sera stessa, riportano tutti la giovane età dello scrittore, evidenziando l’eccezionalità della vittoria. Le svariate interviste all’autore, inoltre, insistono sulla situazione precaria dei ragazzi nel mondo di oggi e indagano sulle prospettive che il futuro può loro offrire, in un’Italia che vede un settore culturale in crisi, eppure determinato a risalire.

È lo stesso Zannoni ad evidenziare l’importanza di ripartire dai giovani, lasciando che gli anziani (o “i vecchi”, come lui stesso li definisce) si facciano da parte, abbandonando visioni retrograde ed eccessivamente ancorate a valori del passato, ormai anacronistici e inattuali.

Ma non è solo l’età che, di Zannoni, stupisce; l’esordiente ha una carriera travagliata e discontinua, eterogenea, tanto che persino il romanzo in questione non presenta un iter regolare, bensì una serie di riprese e rifacimenti reiterati negli anni. 

Figlio dello scrittore di gialli Alessandro Zannoni, Bernardo frequenta il liceo classico con scarsa attitudine, per poi iscriversi alla scuola Holden, della quale salta però molte lezioni; nel mentre, si occupa di tutto ciò di cui è possibile occuparsi. Documentarista, cantautore, musicista, cameriere, una serie di occupazioni svolte per passione o per guadagno, dettate probabilmente da un’indole caratteriale portata all’improvvisazione e all’impulsività. Come racconta a «la Repubblica»,

“Sempre stato ritroso alle regole. Sono uno che ha bisogno dei suoi tempi. Da bambino ero un ciclone e da ragazzo andavo per la mia strada, dopo le superiori ho frequentato per breve tempo la Scuola Holden, solo un passaggio, troppe assenze. Al liceo classico ho avuto un rapporto conflittuale col mio professore di italiano. Era molto in gamba, un luminare, ma voleva che leggessi alcuni classici mentre io preferivo Kerouac e Bukowski.”

Insomma, il classico ribelle alla Holden Caufield (per l’appunto), indomabile amante dell’alternativo che poi, forse, così alternativo non è.

Per quanto sia lodevole il raggiungimento di un successo così grande ad una così giovane età, non si può fare a meno di notare che, anche nel Premio Campiello, la partecipazione delle case editrici indipendenti è scarsa.

Seppur Paolo Crepet, nel lontano 2013, sosteneva che “Lo Strega è per conservatori, il Campiello per progressisti”, notando una nuova e ammirevole energia nel mondo indipendente, i risultati fino ad oggi provano che la vittoria è (quasi) sempre in mano ai grandi gruppi editoriali. 

Il discrimine non sta probabilmente nella qualità delle opere, metro di giudizio relativo e lontano da un ordine gerarchico stabilito, bensì nelle potenzialità finanziarie, commerciali e pubblicitarie degli editori; a questo proposito, basti prendere ad esempio la questione delle vetrine delle librerie, che concedono per la maggior parte spazi a pagamento, a costi affrontabili, purtroppo, solo dalle aziende più facoltose. 

Superfluo anche citare lo spinoso argomento del rapporto tra grandi case editrici e noti periodici, legame che inizia a stabilizzarsi dagli anni ’80 e che assume nel tempo forme di favoritismi, finanziamenti oscuri e accordi esclusivi, a discapito della piccola e media editoria. Senza alcun giudizio sulla questione, si possono evidenziare dei tratti oggettivi e logici, tipici di queste dinamiche: un grande gruppo editoriale, proprietario di case editrici e periodici, potrà facilmente pubblicizzare i propri libri su questi ultimi, innescando un circolo di rimandi a lui vantaggioso. 

La piccola casa editrice, dunque, si troverà a sostenere costi pubblicitari molto alti per entrare in questo sistema, spesso restandone esclusa; i volumi maggiormente pubblicizzati saranno quindi quelli di chi se lo può permettere, gli stessi che il lettore troverà poi nelle vetrine delle principali librerie di catena (e non solo). Saranno proprio questi ad emergere, circolare ed essere selezionati per premi come il Campiello, una naturale coincidenza che non dovrebbe stupirci.

Tutto ciò, come sostenuto sopra, non presenta indicazioni sulla qualità delle opere, o perlomeno, le due cose non sono per forza correlate. L’editoria indipendente sforna capolavori e libri mediocri, esattamente come la grande editoria: il problema sta nella visibilità. Se dei libri di Einaudi o Mondadori si parla tanto, anche con pesanti stroncature, quelli delle piccole case editrici passano in sordina, e raramente hanno la fortuna di emergere. La via giusta da intraprendere per evitare che accada, sarebbe proprio la candidatura ai prestigiosi premi, la quale darebbe a centinai di volumi “invisibili” l’opportunità di essere valutati, conosciuti e apprezzati.

Ma per arrivare a tutto ciò, i selezionatori e le giurie dovrebbero leggere molto di più, travalicando i confini dei nomi noti per scovare nel piccolo e nell’inimmaginabile.

4 Commenti

  1. posto che sono d’accordo con la disamina della situazione attuale in cui versa l’editoria, mi riallaccio all’ultima frase dell’articolo e allargo l’auspicio: dovrebbero leggere molto di più tutti quelli che orbitano nell’editoria, si eviterebbe così di farmi passare per uno che scrive gialli – cosa che non ho mai fatto.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here