Inchiostro e caffè: “Il giovane Holden”

Quando avevo quattordici anni, dovetti leggere diversi libri durante il mio primo anno di liceo. Ancora oggi non mi spiego come mai i libri che lessi durante quell’anno risveglino ancora, dentro di me, un’impressione istintiva di noia. Eppure, leggere è la mia forma di relax preferita: da sempre, per me, vacanza significa avere una sedia a sdraio e un paio di libri di fronte al mare, rigorosamente sotto l’ombrellone (perché il sole dà fastidio se si vuole leggere a lungo).

Oltretutto, si trattava di grandi titoli: Il sentiero dei nidi di ragno, Il nome della rosa, Il giovane Holden. Sono libri che ho rivalutato in seguito, quando ho potuto leggerli con l’agio e la tranquillità che meritavano e, soprattutto, senza matita per sottolineare passaggi utili per portare a termine un compito imposto.

Il giovane Holden, in particolare, è un libro che ho riscoperto quando ho dovuto parlarne con i miei studenti. Come si fa a trattare il romanzo di formazione senza questo libro? No: non si può fare. Perciò l’ho riletto e apprezzato; per un attimo, ho temuto di averlo apprezzato da adulta perché era un libro sui ragazzi, ma per adulti. Le lezioni in cui ho parlato di Holden Caulfield sono state molto difficili: non volevo far nascere negli studenti lo stesso senso di noia che avevo provato io.

Così non è stato, per fortuna. Mi sono divertita anche io a leggere quei buffi dialoghi senza senso, quei soliloqui inconcludenti; ho partecipato con più interesse, questa volta, alla fuga di questo giovane scapestrato espulso dalla scuola, che trascorre gli ultimi giorni prima di Natale vagabondando per New York, prendendo tempo prima di rivelare la terribile notizia ai suoi genitori.

Ho ammirato la saggezza imprudente di certi suoi slanci: solo un adolescente può protestare con tanta veemenza verso i simboli della società borghese e chiedere a una coetanea di andare a vivere con lui, per poi litigare impunemente con lei. Bisogna avere sedici anni o giù di lì, per apprezzare questi momenti.

Forse invece, per apprezzare un Holden più maturo, che trova inaspettatamente la pace mentre guarda la sorellina divertirsi sulle giostre, bisogna avere almeno venticinque anni. Chissà che, all’epoca, non sia stato proprio questo finale a rovinarmi il libro.

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