Iran: incendio nel carcere di Evin

Nella notte tra sabato e domenica ci sono stati scontri e un incendio nel carcere di Evin a Teheran, che ospita molti protestanti di queste settimane per la causa di Masha Amini. Sembrerebbe da alcune fonti locali che si troverebbe in quel carcere anche la travel blogger italiana Alessia Piperno, arrestata lo scorso 28 settembre.

Immagini e notizie poco chiare, che giungono a stento dall’altra parte del mondo perché Internet è stato bloccato. Il presidente degli USA, Joe Biden, sostenitore delle rivolte a Teheran, ha condannato la repressione della Polizia Islamica chiedendo all’Iran l’imminente rilascio dei cittadini detenuti ingiustamente. La risposta del ministro degli Esteri iraniano, Nasser Kanani: «L’Iran non sarà indebolito dalle interferenze e dalle dichiarazioni di un politico esausto». È stato ricordato all’America di avere la brutta abitudine di abusare di situazioni di disordine, senza prendere in considerazione il contesto – in questo caso il Paese – in cui avvengono. Un’intimidazione questa del ministro degli Esteri che fa pensare a quanto il governo iraniano sia stanco delle ingerenze occidentali. Senza tenere in considerazione, però, quanto sia stanco il suo popolo dei continui soprusi e divieti imposti ingiustamente per una osservanza considerata sbagliata della religione.

Su Twitter circolano video che mostrano il fumo dal carcere: l’agenzia di stampa della Repubblica Islamica fa sapere che ci siano 8 persone ferite e che, nonostante ciò, la situazione sia sotto controllo. Questo episodio, di certo, non sarà l’ultimo di una lunga serie di stragi di sangue che però devono finire. Un esempio che dovrebbe insegnare a tutti noi, occidentali e orientali, il grande valore della libertà e della lotta per la libertà.

Il fumo è stato segnalato nel braccio 7 dove si trovavano i detenuti in attesa di un processo. Sembra che l’incendio sia stato appiccato dagli stessi detenuti ad un deposito di vestiti. Stando a quanto detto dai testimoni, sono stati uditi anche colpi di armi da fuoco ed esplosioni. La polizia ha sparato gas lacrimogeni anche contro le famiglie degli attivisti e studenti radunati fuori dalla prigione. Nel frattempo, all’Università di Teheran echeggiava lo slogan “Teheran è una prigione, Evin è una università”, simbolo del movimento nato dalla morte di Mahsa Amini.

La resistenza iraniana fa sapere che in questo momento il regime del Mullah sta massacrando i prigionieri politici del carcere di Evin, le strade sono tutte chiuse e i pasdaran sparano a tutti coloro che tentano di avvicinarsi. Si sentono da lontano le grida dei rinchiusi al suono di slogan “morte a Khamenei”.

Evin è il carcere più famoso dell’Iran, in cui si trovano molti prigionieri politici e attivisti, intellettuali, studenti e avvocato, la maggior parte arrestata in questo ultimo mese a causa delle rivolte. Sembra, infatti, che insieme ad Alessia Piperno ci sia Ahmad Reza Djalali, un ricercatore iraniano con anche la cittadinanza svedese che ha lavorato presso l’Università del Piemonte Orientale.

I Radicali Italiani chiedono al governo di convocare immediatamente l’ambasciatore iraniano in Italia per chiarire la posizione del suo Paese di fronte a questi crimini indicibili contro i propri cittadini e, soprattutto, cittadine di fronte alle quali dovremmo solo inginocchiarci in segno di rispetto e di riconoscimento del loro coraggio. La rivolta non è solo contro un emendamento del governo sbagliato, ma cerca di dimostrare che il loro culto si può osservare anche senza imposizioni. Scegliere o meno di indossare l’hijab, il tipo di velo da indossare, il desiderio di non indossarlo.

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