Kabul: quando la storia non fa più notizia

“Strage di ragazze in una scuola di Kabul”, così titolavano molti dei notiziari nazionali e internazionali quell’8 maggio 2021 tra lo sdegno dell’Europa, la presa di posizione da parte della stampa e lo sconforto delle comunità studentesche che vedevano loro coetanee perire per il solo diritto allo studio.

Dimenticandosi però che la vera notizia, oltre quella del bollettino tragico della strage, è dell’ennesimo attacco all’istruzione afgana.

“Se ciascuna delle oltre cinquanta studentesse uccise sabato da un’autobomba piazzata fuori dalla scuola superiore Sayed Al Shuhada di Kabul fosse riuscita ad arrivare al diploma, per l’Afghanistan sarebbe stato un successo. E invece non sono state neanche le prime questo mese a morire in un attentato simile”.

Queste parole del giornalista Sulaiman Hakemy, scritte sul quotidiano The National e riportate nell’edizione n. 1409 dell’Internazionale, risuonano tombali nelle orecchie di chi vuol sentirle. Per chi ha avuto la fortuna di nascere nella parte più fortunata del globo è quasi scontato il diritto allo studio ma, per chi vive come quelle studentesse di Kabul, il diploma è un miraggio da sostenere in trincea.

Di rilevanza però, per un certo tipo di stampa a noi contemporanea, è riportare il numero delle vittime, classificare i tipi di esplosioni, collegare le giovani vite spezzate al ritiro delle truppe statunitensi dopo due decadi. Non certo parlare della gravità di ciò che verrà per i giovani afgani.

Quando parliamo di “giovani afgani” non dobbiamo dimenticare che, secondo le stime, il 40% della popolazione ha meno di 15 anni, portando così l’Afghanistan ad essere uno dei paesi con più giovani al mondo. Fu la dottoressa Maria Montessori a dire che “un paese che non ha a cuore la scuola e l’istruzione dei suoi giovani, è un paese senza futuro” e ora che l’Afghanistan si prepara a questa nuova fase della sua storia, è proprio dai giovani che deve saper ripartire. Dall’articolo poc’anzi citato emerge anche l’inquietante dato della Banca Mondiale sugli insegnanti delle quarte elementari afgane ove solo il 40% degli insegnanti ha una padronanza del piano di studi di lingua e ancora meno sono quelli con una competenza in matematica. Per non parlare del fatto che la giornata scolastica media dura solo tre e ore e mezza, portando come risultato delle lacune quasi incolmabili in età adulta. Inadeguati sono anche gli edifici scolastici che non devono sopravvivere solo alle insufficienze strutturali e ai pochi fondi a disposizione ma anche alle guerre che mettono in pericolo tanto le strutture quanto il personale e, come abbiamo visto, gli stessi studenti.

La pandemia da Covid-19 ha causato innumerevoli problemi in un sistema istituzionale già drammaticamente in crisi. Per l’ONU, oggi il 40% degli afgani non lavora e non studia.

Questa stima e quelle precedentemente raccontate dal brillante editor di The National, mostrano quanto sia drammatico il bilancio di un Paese che a breve vivrà senza le truppe USA e della NATO nelle sue strade, potendo finalmente vivere quella libertà tanto auspicata negli ultimi anni. Inoltre, come ha sottolineato Gino Strada in una nota ufficiale di Emergency, possiamo veramente definire “successi” gli ultimi vent’anni di occupazione americana? Ogni presidente ha insistito sull’importanza di dare ai giovani un’istruzione per formare un paese modernizzato ed evitare un ritorno dei talebani al potere. Nonostante ciò, nonostante la spesa ingente e nonostante le due decadi passate, il sistema educativo afgano è in una situazione drammatica.

Molti sottolineano come, nonostante la drammaticità del sistema, vi sia stato un notevole aumento degli studenti dal 2001 ad oggi ma è pur vero che nel 2001 la popolazione afgana contava circa 21 milioni di cittadini mentre nel 2019 circa 38 milioni (dati Banca Mondiale): possiamo dunque dare il merito dell’aumento del numero di studenti alle condizioni migliori del Paese o (forse) il notevole aumento demografico ha qualcosa a che vedere con queste statistiche?

Ciò che rimane, oltre i numeri, è che i prossimi anni saranno determinanti per il futuro dell’Afghanistan che, come abbiamo potuto notare, coinvolge non soltanto le dinamiche del Grande Medio Oriente ma quelle di tutto il mondo, nella speranza che i mass media globali vedano in questo Paese molto più di un bollettino.

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