KKR-TIM: gli americani confermano l’interesse e rilanciano su integrazioni di rete

Il fondo statunitense KKR non demorde e conferma la sua proposta di OPA amichevole non vincolante sulla totalità del Gruppo Tim. Ad oggi non è chiaro se sarà confermato anche il prezzo di 0,505€/azione proposto, ma si sa che i fondi per l’acquisizione deriverebbero in larga parte da mezzi propri di KKR, quindi con un ricorso al debito limitato: in caso di fusione, ciò non peggiorerebbe troppo il già elevato indebitamento netto di Tim. I tempi – ricostruisce Milano Finanza – dipenderanno dal gradimento dei soci e dagli eventuali tempi di Due Diligence.

Nella giornata del 23 marzo la notizia ha fatto alzare il prezzo azionario di Tim a 0,327€/azione (+8,60% vs. giorno precedente), confermando come gli investitori sperino nell’acquisizione, contrariamente ai ribassi mostrati dal titolo dinnanzi agli annunci difensivi del management attuale e del piano industriale del Gruppo.

Proprio a conferma della deludente percezione della gestione attuale in termini di debolezza dei ricavi tipici, l’agenzia di rating S&P – seguendo Moodys’ e Fitch – ha declassato la solvibilità finanziaria del colosso delle telecomunicazioni da BB a BB-. Ma non è finita: sempre secondo MF, per Banca Akros “Il downgrade del rating [allo scalino inferiore, cioè B+] è un evento negativo, ma ampiamente atteso”.

Per evitare le polemiche e le perplessità del Governo e della dirigenza di Tim, questa volta gli americani hanno precisato nella loro comunicazione che si sono avuti “scambi positivi” con le autorità italiane preposte a vigilare ed avallare un’eventuale acquisizione di Tim, e quindi delle infrastrutture di rete, il vero tesoro strategico della società.

Oltre al mero prezzo azionario, KKR esce da una logica meramente finanziaria della sua proposta ed apre a sinergie industriali che possano creare valore ulteriore, paventando integrazioni tra le reti FiberCop ed Open Fiber; va ricordato che la valorizzazione delle fibre è un nodo cruciale per la dirigenza.

Tim non reagisce e per il momento si concentra sul suo piano industriale, che prevede lo scorporo in 4 società che incarnano i suoi business principali: ServiceCo, NetCo (la più appetibile, con in pancia le reti), ConsumerCo, EnterpriseCo (Noovle, Olivetti, Telsy). Proprio su quest’ultima – che conterrebbe gli asset IoT, cloud e cybersecurity – si aggira il fondo britannico CVC, che però – chiosa Equita – vorrebbe evitare l’attenzione della golden power governativa accontentandosi di una quota di minoranza. Secondo gli analisti di IntesaSanPaolo, Vivendi potrebbe invece interessarsi alla ServiceCo.

Sempre nella giornata del 23, Tim ha incassato l’appoggio di CdP al progetto di rete unica: le sinergie sono stimate intorno ai 4 mld €. Per essere realizzabile, però, il progetto dovrebbe prevedere il conferimento di Open Fiber nella scorporata NetCo, poi l’ottenimento del via libera dall’Antitrust europeo; tradotto: non meno di 18 mesi.

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