La battaglia di Bakhmut e una talpa alla Casa Bianca

Fuga di notizie top secret contenute in 100 documenti apparsi su un website anonimo e poi su profili americani Twitter e Telegram nei giorni scorsi. Le fonti, consistenti in foto di documenti stampati, conterrebbero dati e informazioni sull’attuale stato del conflitto ucraino e sui piani di Kiev della controffensiva attesa a giorni. Ma anche relazioni di spionaggio americano nei confronti degli alleati (Kiev e Seul in primis) e dossier al centro della sicurezza: la Cina, l’Indo-Pacifico, i capi del Mossad ed il terrorismo. Scoop o controinformazione?

“Sì, puoi eliminare completamente le cose da Internet: funziona perfettamente e non attira l’attenzione su ciò che stavi cercando di nascondere” ha dichiarato sarcasticamente Elon Musk quando gli hanno chiesto di rimuovere i documenti dal social di cui è proprietario. Dopotutto perché farlo anche se richiesto dai massimi livelli del governo Biden, quando sono ormai di dominio pubblico? La documentazione ha creato un notevole imbarazzo dello staff presidenziale, dimostrando che qualcosa di vero in quei documenti ci sarebbe. Il Times si è affrettato a chiedere ad alcuni analisti militari l’attendibilità, i quali l’hanno classificata come un paper standard che analizza i progressi della guerra e pianifica la controffensiva ucraina. Seppur con un certo scetticismo sui dettagli numerici: sottostimate le perdite ucraine (70.000 circa) e soprattutto quelle russe (16-17.000), dicono gli esperti. Che i caduti ucraini siano sottostimati lo sappiamo con certezza. Lo sappiamo da quando la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in un discorso del novembre 2022, aveva parlato di 100.000 morti ucraini prima che ritrattasse precipitosamente. Il responso degli analisti è stato dunque che i documenti sarebbero effettivamente originali, ma modificati. Nessuno però, a distanza di 5 giorni dalla fuga di notizie, sa dare una spiegazione su come i russi possano avere in mano documenti di così alto livello e così recenti (del 23 febbraio e 1 marzo). Le cifre sarebbero dunque da prendere con le pinze, ma se fossero vere sarebbero sbalorditive: a pochi giorni dall’offensiva di Zelensky per superare il Dnipro e contrattaccare nel Chersoneso, le forze ucraine sarebbero al limite. E l’offensiva di liberazione nazionale poco più di un tentativo disperato di ribaltare la situazione. Le forze russe d’altronde godono di posizioni ben difese e hanno potuto riorganizzarsi durante l’inverno. Dove invece la battaglia infuria più violenta, più a oriente, nella provincia di Donesk, si starebbero confrontando 91 battaglioni russi con circa 23.000 effettivi totali, mentre l’Ucraina mantiene in copertura 8 brigate e 40 battaglioni, con un organico compreso tra 10.000 e 20.000. Nell’inferno di Bakhmut l’ordine è di resistere fino all’ultimo uomo. 

I documenti, con tutti i dubbi sottolineati in precedenza, raccontano nel dettaglio le tempistiche stimate di consegne di armi all’Ucraina dagli States e della NATO, oltre ai programmi di addestramento per le forze ucraine. Dimostrando quello che già si sa, lo stretto rapporto di collaborazione tra i vertici ucraino-americani. Il cronoprogramma esposto va da gennaio ad aprile, presupponendo che la controffensiva ucraina avverrebbe nei primi giorni di maggio: 12 brigate meccanizzate, di cui 9 addestrate dai paesi del Patto Atlantico e almeno 250 carri armati. Seppur scoperti nelle intenzioni di colpire a sud, gli ucraini proseguiranno comunque. Al tavolo delle trattative nessuno vuole sentire parlare di resa. Soprattutto chi in questa aggressione ha solo visto la morte e la distruzione del suo Paese. Quello che lascia perplessi sono però anche l’attento spionaggio di alcuni alleati, che dimostrerebbe quanto Washington voglia vederci chiaro sullo scacchiere internazionale per il futuro. La ritrosia a inviare armi da parte dei sud coreani. La vendita di veicoli corazzati dell’Egitto a Putin. E i dubbi di coesione internazionale difronte a nuove aggressioni crescono.

Gli unici che si possono escludere dalla responsabilità della fuga di notizie sono gli ucraini, i quali non hanno nessun vantaggio e non avrebbero accesso a questi documenti, stando alle affermazioni di un dirigente della sicurezza nazionale contattato dal New York Times. Possibile una fuga voluta dagli stessi vertici americani per convincere Kiev a essere più morbida in vista di un’eventuale tregua? Gli Usa hanno utilizzato spesso questo espediente per convincere gli alleati non troppo allineati. Ma non si spiegherebbero tutte le altre informazioni presenti. Molte delle quali minano i rapporti atlantici nell’affaire ucraino. Il Dipartimento della Difesa ha intanto modificato le chiavi di accesso ai documenti e ha aperto un’inchiesta, insieme al Dipartimento di Giustizia, per capire chi poteva avere accesso a questi documenti. “Cerchiamo anche tra i report di stampa”, ha affermato il responsabile del procedimento.  In ogni caso la talpa, per qualsiasi motivo abbia agito, ha dimostrato una grave fragilità dell’intelligence. Troppo grave di questi nuovi tempi dal sapore di vecchia guerra fredda. A conti fatti, un tradimento di qualcuno dello staff vicino al Presidente è l’ipotesi più sicura. E più sconcertante. 

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