La presunzione d’innocenza europea che serve all’Italia

L’articolo 27 della nostra Costituzione recita chiaramente: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Definita “presunzione d’innocenza”, è il pilastro del principio garantista che connota – o almeno dovrebbe – il sistema giudiziario italiano. I costituenti vollero inserire il comma per tutelare l’individuo imputato in un processo: la verità emerge in seguito alle indagini e sulla base di una sentenza, definitiva, di condanna o assoluzione. 

Nel 2016, tuttavia, a livello europeo è stata prevista una presunzione d’innocenza più specifica, che abbraccia il mondo dei media e della comunicazione soprattutto, e riguarda il trattamento dell’imputato da parte della magistratura prima che la sentenza definitiva venga promulgata. 

Il Parlamento Europeo, infatti, ha prodotto una Direttiva, nella quale si legge che “[…] gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole”. In sostanza: stop ai processi mediatici, alle dichiarazioni fatte senza il rispetto della presunzione d’innocenza, ai filmati contenenti riprese e videoregistrazioni e alle “verità televisive”. Questa è la linea che l’Europarlamento ha deciso di seguire, ovvero liberare il sistema giudiziario e processuale dal contorno mediatico, che dà in pasto gli imputati alla comunicazione giornalistica e televisiva. 

In Italia, i deputati di Azione e +Europa, Enrico Costa e Riccardo Magi, si intestano la battaglia sul recepimento della direttiva. Che ha avuto successo, giacché, dopo quasi 5 anni di opposizione da parte per lo più del M5S, è stato raggiunto l’accordo. La mediazione più importante, che ha consentito di superare le ostilità tra i partiti, proviene dalla Guardasigilli, il ministro Marta Cartabia. “Una pagina molto bella per la giustizia”, ha dichiarato la responsabile di Via Arenula. E così, la Direttiva entrerà a pieno titolo nella legislazione italiana; dalle nostre parti, come ricordato in apertura, non manca certo la codificazione del principio in questione, ma dall’UE arriva un tassello in più nel mosaico giuridico. 

Comunque la prof.ssa Cartabia ha precisato e voluto che i regolamenti vengano scritti dal ministero, così da poter gestire la faccenda in casa propria. Non è stato facile dare una svolta liberale e garantista, mettendo d’accordo partiti per natura opposti, nelle persone dei loro rappresentanti, come Magi e Bonafede, ad esempio. Per i 5 Stelle, un recepimento di questo tipo stona con il loro programma giudiziario, cavallo di battaglia da anni, secondo il quale avrebbero dovuto ammanettare colpevoli ab origine, dalla strada fino ai piani più alti del Paese. 

Si attende, dunque, il via libera dal ministero della Giustizia per procedere. Dopodiché la battaglia ai processi mediatici non sarà mica finita, tuttavia un argine di carattere sovranazionale potrà soffocare qualche animo più bollente e giustizialista. Già la nostra giustizia è la più lenta d’Europa*, 2.658 giorni in media per concludere i due gradi di giudizio e il giudizio di legittimità da parte della Cassazione, se poi a tale lentezza, con tutti i problemi che comporta, si aggiunge la strumentalizzazione degli imputati e dei loro processi, il sistema non potrà mai essere scardinato. Destinati a perderci tra scartoffie, inefficienza e spettacolarizzazione, con una domanda che sorge inevitabile: ben venga la presunzione d’innocenza “europea”, ma la Costituzione, che sancisce lo stesso principio anche se in via generale, non era sufficiente?

* fonte: Banca d’Italia; “Rapporto sull’efficienza e qualità della giustizia in Ue” del Consiglio Europeo – CEPEJ 2018

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