L’Isis ritorna in Siria

Nel 2019 lo Stato Islamico in Siria è stato dichiarato sconfitto, ma rimangono gruppi di miliziani che continuano a portare avanti la guerra santa nella parte orientale e nel nord est del Paese. Questi, nella notte di giovedì 20 gennaio, hanno assediato la prigione di Ghweiran ad Hasake per liberare i detenuti fedeli allo Stato Islamico. Un avvenimento che ha lasciato 67 vittime tra cui 23 uomini delle forze di sicurezza curdo – siriane, 39 miliziani e 5 civili utilizzati come scudo umano dai fuggiaschi.

La cosa preoccupante è che le forze curdo – siriane avevano lanciato un’allerta per il rischio di attacchi da parte delle milizie del Califfato, ma senza alcun seguito. Hanno fatto anche un’altra denuncia: un convoglio delle Forze Democratiche Siriane chiamato come rinforzo è stato attaccato e colpito da un drone turco.

È noto fin dalla proclamazione della Repubblica Turca che essa non ha mai visto di buon occhio la popolazione curda e addirittura riconoscerli come Stato indipendente. Hanno contrastato in ogni modo le richieste di autonomia da parte della popolazione curda, nientemeno che annullare la loro identità definendoli “Turchi di montagna” o “Turchi orientali”. È stato tolto loro l’uso della propria lingua e la salvaguardia dei diritti civili, e sono stati dichiarati gruppi terroristici (PKK) ad Ankara.

I Curdi in Siria e Iraq

Gruppo etnico di origine indoeuropea e di religione islamica sunnita, dopo la Prima Guerra Mondiale vennero suddivisi fra Iran, Iraq, Siria e Turchia piuttosto che creare uno Stato curdo, il Kurdistan. In più occasioni si sono ribellati ai vari governi, subendo persino sanguinose repressioni come nel 2015 con i turchi. In Siria, i curdi hanno conosciuto la repressione del regime dittatoriale e poi combattuto contro lo Stato Islamico. Tra i combattenti curdi, molte sono donne ed hanno liberato le città di Kobane e Raqqa (dove si trovavano le basi dell’Isis), malgrado le continue repressioni turche per paura che si formasse una loro regione indipendente, ritenuta pericolosa.

In Iraq, dopo la caduta di Saddam Hussein, i Curdi hanno ottenuto una maggiore autonomia nella parte nordorientale del Paese che è ricca di petrolio. Anche qui hanno combattuto contro lo Stato Islamico liberando le città di Kirkuk e Mosul.

Curdi contro Turchi

L’Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale, Rojava, ha dichiarato più volte di non aver ricevuto abbastanza risorse per detenere migliaia di prigionieri dell’Isis e le loro famiglie in sicurezza. Nemmeno per riabilitare e rieducare i bambini – soprattutto adolescenti – delle famiglie dell’Isis. Come si afferma in un comunicato stampa del Congresso Nazionale del Kurdistan, «Dopo aver beneficiato dei sacrifici delle SDF nella guerra contro l’ISIS, le potenze mondiali hanno lasciato migliaia di loro cittadini nel nord e nell’est della Siria come una bomba a orologeria che può esplodere in qualsiasi momento, come abbiamo appena visto».

Il sostegno della Turchia all’Isis non è un segreto di Pulcinella, così come il suo odio nei confronti dei Curdi. Nell’ultimo periodo ha intensificato i suoi attacchi contro il Rojava: il 24 dicembre 2021 un drone turco ha distrutto la casa del movimento giovanile curdo a Kobane, cinque vittime e molti feriti. Ricordiamo che Kobane è una città con un significato molto importante perché primo luogo in cui l’Isis è stato sconfitto e supportata da allora dall’America di Obama (2014). Poi nel 2019 Trump ha dato il via libera alla Turchia di invadere il Rojava orientale. Nonostante abbiano siglato un trattato di pace con garanti Russia e USA, la Turchia ha continuato con gli omicidi con i droni e Washington non ha fatto niente per rimediare.

Erdoğan ha sempre fondato tutta la sua campagna politica sulla lotta contro il terrorismo, e i curdi per lui lo sono a tutti gli effetti soprattutto perché rappresentano la democrazia che è fallita ad Ankara. In un momento di profonda crisi interna, con la lira a ribasso e l’opposizione al suo partito che diventa sempre più forte, quale modo migliore della guerra etnica – secondo lui – per uscirne?

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