Le elezioni europee e la necessità di un’UE più forte

Siamo alle porte delle elezioni europee, previste per giugno 2024. Nonostante possa sembrare un appuntamento ancora lontano, in verità in questi mesi i partiti decideranno strategie e candidati; vista l’importanza epocale della tornata elettorale del 2024, ancor più rispetto a quella del 2019, il tempo è poco rispetto ai temi da sviluppare come proposte per affrontare i prossimi cinque anni. Al netto delle sfide che l’UE è chiamata a vincere, dalla guerra alla crisi economica, si profila la necessità di un’Unione Europea più rapida, equa e riformatrice, garante della stabilità di tutti i Paesi membri, senza eccezioni. Obiettivo ambizioso ma mai come oggi impellente. 

In Italia, però, dal lato europeo tutto tace. Politici e partiti, escluso il caso Renzi, non hanno ancora iniziato la campagna elettorale e non hanno, purtroppo, pensato di portarne avanti una informativa. Chiariamoci: sarebbe un bene che la politica, oltre ai propri interessi di partito, legittimi e necessari agli elettori per scegliere chi votare, riflettesse sulla possibilità di condurre una campagna di informazione sulle elezioni europee 2024. Immaginiamo, non senza peccare di utopia, i principali simboli di partito insieme, con le rispettive personalità, confrontarsi sull’importanza di stare in Europa. Cosa rappresenta l’Europa oggi? Perché è impossibile pensare un futuro isolazionista dell’Italia e perché “Italexit” è solo uno slogan da bar? Criticamente: cosa l’Europa dovrebbe cambiare per funzionare meglio? Informazione, prima ancora che propaganda. Entrambe utili, ma con scopi ben diversi. E soprattutto compatibili: a ben vedere, come può un cittadino scegliere un candidato (che propone idee e temi reali, o almeno dovrebbe) senza aver prima ragionato su questioni di fondo e senza aver prima assorbito informazioni utili sulla necessità dell’UE? Non solo la stampa, dunque, ma anche la politica. Sia perché la stampa ci prova spesso, ma poi inevitabilmente cade nell’ideologia, un po’ per atavico spirito di litigio, un po’ per diktat di editori schierati politicamente. E se la politica facesse il primo passo, come abbiamo provato a ipotizzare prima, magari anche l’informazione potrebbe seguirla. 

Dal punto di vista dei partiti, Matteo Renzi ha bruciato tutti sul colpo e, durante una scuola di formazione per giovani, ha annunciato la sua candidatura in un progetto chiamato “Centro”. L’ennesimo centro, in potenza senza arte né parte, sennonché durante la conferenza stampa Renzi abbia provato a tracciare alcune rotte, che tuttavia in Italia non hanno funzionato (il matrimonio tra lui e Calenda è finito senza la restituzione dei doni). Giorgia Meloni, invece, si prepara ad aumentare i consensi sulla scia dell’onda nazionale. Un tema però rimane da chiarire: benché sia stata riconfermata a giugno, dopo le elezioni si dimetterà da presidente del gruppo Ecr (Conservatori e Riformisti europei)? Anche in chiave futuri equilibri, la scelta potrebbe avere un senso, soprattutto in ottica nazionale. Accantonata l’esperienza europea passata, il futuro del partito di maggioranza in Italia potrebbe avere spazio in Europa sul fronte popolare, immaginando una definitiva alleanza tra Popolari e Conservatori. A sinistra, la partita rimane aperta, sia perché il M5S non potrà continuare a inserirsi nel “gruppo misto” europeo sia perché il PD, alle prese con l’ennesima fase di dissidi interni, non vive un periodo floridissimo. Infine la Lega, che dovrà digerire un importante ridimensionamento dei consensi, dal 30% dell’apogeo politico alla metà stimata dei consensi oggi. 

Il futuro dell’Europa, tuttavia, non è nelle mani dei soli partiti. Occorre un ragionamento più profondo, che indaghi le ragioni della necessità di un’UE forte ma anche più equa. Due tra le altre: come è ancora possibile che basti il solo veto di uno Stato membro per bloccare le riforme? Perché non si discute concretamente di una difesa comune europea? Laddove le frizioni tra gli Stati membri aumentano (basti vedere le recentissime scelte di Francia e Germania sui migranti in arrivo dall’Italia), un’antipatia più o meno fondata diventa suscettibile di ostacolare un dossier chiave per il futuro dell’Europa, oppure, per riflettere sul secondo esempio, lo scoppio di una guerra ai nostri confini deve farci ragionare sull’importanza di una difesa comune, con un ministro eletto da rappresentanti degli Stati o, se possibile, dai cittadini stessi, che sia il portavoce pacifico degli interessi di tutta l’Europa unita. E poi un’unione fiscale, per far fronte alle continue crisi economiche, per evitare che alcuni Paesi siano paradisi fiscali rispetto ad altri in cui la tassazione sia un gravame insopportabile (chiaramente pensiamo all’Italia). O, perché no, anche un ministro degli Esteri dell’UE, affianco a quello della Difesa, per tutelare diritti e posizionamenti di tutti gli Stati membri. E la possibilità di rivedere lo statuto della BCE, vecchio di un quarto di secolo. Ultima suggestione: l’elezione diretta delle massime cariche delle istituzioni europee. 

Riforme, per un’Europa più riformatrice che riformista. Unione politica, per un futuro fatto di divisioni su temi ideologici (è il sale della politica, senza il quale non avremmo democrazia e suoi frutti, i partiti) ma anche di coesione su dossier chiave. Le prossime elezioni saranno più importanti delle scorse, perché si decideranno su eventi epocali come il Covid-19, la crisi economica e il conflitto russo-ucraino. E forse ogni successivo appuntamento, se la storia è ciclica e i problemi non si risolvono con uno schiocco di dita, sarà sempre più importante del precedente. Ecco perché abbiamo bisogno di una politica che guardi all’Europa come un’opportunità, non come una scommessa già persa o come un ostacolo da aggirare; ecco perché abbiamo bisogno di cittadini consapevoli di essere europei, oltre che italiani, e che credano nell’Europa così come, auspicabilmente, credono nel proprio Paese. Sarà utopia, ma crediamo in ciò che scriveva Eduardo Galeano, che come giornalista ha rischiato la pelle in più occasioni durante la sua vita, ovvero che “l’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile, allora a cosa serve l’utopia? Serve a continuare a camminare”. 

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