Le pagelle della pazza estate della politica

Dopo questa pazza estate della politica italiana nulla sarà più come prima, o no. Intanto proviamo a dare le pagelle, irriverenti, ai suoi protagonisti. Delle tattiche e dei cambiamenti di opinione sappiamo già tutto nei dettagli, se è vero come è vero che, in questa pazza estate, 14 milioni di italiani si sono incollati agli schermi ed alle radio per seguire la politica: alla faccia del distacco dalle istituzioni. Allora da questi pochi numeri proviamo a scorgere anche un po’ di scenari futuri.

MATTEO SALVINI: 4

Lo sconfitto di questa fase è senza dubbio Matteo Salvini. Dalle spiagge romagnole, all’ombra delle curve di qualche cubista, ha liquidato il governo che lo vedeva dominatore incontrastato, chiedendo pieni poteri, e per tutta risposta si ritrova all’opposizione, senza elezioni a breve termine, alla guida di un partito perplesso, senza una coalizione in Italia e isolato in Europa. Anche il suo amico Trump pare non abbia granchè gradito le chiacchierate in libertà all’Hotel Metropol di Mosca di qualche faccendiere padano: perché sarà pure sovranista come lui, ma America first non prevede il trasloco dell’Italia oltre la nuova “cortina di ferro”.

GIUSEPPE CONTE: 8

E’ passato da fantapremier del governo gialloverde ad azionista di maggioranza di quello giallorosso con la naturalezza di un cambio di pochette o di un colpo di pettine per riaggiustarsi il ciuffo.

CARLO CALENDA: 5

Se l’Italia non fosse la Patria di Macchiavelli e la coerenza fosse un valore avrebbe stracciato tutti, invece è rimasto da solo. Ah no, c’è pure Matteo Richetti, va beh, ci siamo capiti. Il tempo ci dirà se sarà capace di trasformare Siamo Europei da una newsletter ad un partito. Auguri.

LUIGI DI MAIO E NICOLA ZINGARETTI: 7

Sono i sopravvissuti di agosto: potevano vedere andare in pezzi i loro partiti e le loro leadership, ma con umiltà, che in certe occasioni è dote utilissima quanto rara, hanno si subito gli accordi e le posizioni di Grillo e Renzi, ma lo hanno fatto con dignità e sagacia. Luigino mostrando i muscoli, per una volta non solo alle avvenenti fidanzate a favor di selfie, Zingaretti sfoggiando tutta la sua placidità, portando in porto un Pd sempre sull’orlo del naufragio, senza mai sbandare troppo la nave.

DARIO FRANCESCHINI: 8

Il vincitore morale della partita. Ha preso insulti per mesi, anche da chi vi scrive, ogni qualvolta se ne usciva con qualche intervista sulle alleanze tra Pd e Cinque Stelle, in realtà non ci siamo accorti che non erano interviste ma premonizioni che ci raccontavano il futuro, che poteva pure non piacere, ma quello è stato.

MATTEO RENZI: 10

Lo sanno tutti, nel Pd, tra, giornalisti, analisti e commentatori vari, che è lui il vincitore più vincitore di tutti, perché l’unico a potere ancora passare all’incasso politico della sua giravolta tattica. Unico dubbio è se dopo il lampo di genio saprà tessere la sua tela, nella sua ritrovata centralità, nei prossimi mesi, senza sperperare il patrimonio che in mezza giornata si è ricostruito. Non vi fate ingannare, anche se lo dicono a mezza bocca, ma tutti coloro che già avevano brindato al suo funerale, oggi hanno una gran paura che il rottamatore ritorni, più cattivo e vendicativo di prima.

BEPPE GRILLO: 9

Abbiamo definito Renzi il vincitore più vincitore perché a nostro avviso c’è un altro vincitore, che a differenza del Senatore di Rignano però, difficilmente potrà passare all’incasso, non essendo lui in prima persona, ma Di Maio, la guida politica della sua creatura. Parliamo di Beppe Grillo, che è riuscito nel vero miracolo italiano, quello di far digerire al Movimento Cinque Stelle l’alleanza col “partito di Bibbiano”, senza strappi. Al massimo col mal di stomaco di Paragone, che dalle minacce di dimissioni dal Senato è passato ad una più democristiana astensione sulla fiducia al governo.

DANIELA SANTANCHE’ E GIORGIA MELONI: 5

Una citazione speciale per i costumi in questa rappresentazione va a Daniela Santanchè: con la politica non c’entra nulla, ma le sue acconciature esibite in aula ed il cappellone tricolore da presa della Bastiglia in piazza, non possono passare inosservate. Un pò come il partito di Giorgia Meloni: in realtà una comparsa in tutta la vicenda, ma tutto sommato ha saputo dar notizia di se, facendo un po’ di colore, con i comizi sotto Montecitorio e quelli all’uscita dalle consultazioni di Mattarella, in cui dava lezioni di diritto costituzionale, scambiando l’ultimo numero di Topolino con la Costituzione. Ma alla fine è rimasta a bocca asciutta, niente elezioni e soprattutto niente alleanza sovranista con la Lega per dare il colpo di grazia a Forza Italia.

SILVIO BERLUSCONI: 6

Se non fosse lui diremmo che non poteva essere lui. Nessun fuori programma, nessuna barzelletta, nessun colpo ad effetto, Niente di niente, sembrava un Casini qualsiasi, tutto responsabilità e disciplina, tra citazioni dotte ed accenni di politica globale. Ma poi guardiamo a Forza Italia, un partito allo stato gassoso, in crollo di consensi, senza classe dirigente sui territori, ferito dalla scissione di Toti, che se ci fosse stata ai tempi del Pdl avrebbe avuto l’effetto di una zanzara d’estate, ma col partito ridotto a percentuali ad una cifra sembra lo scisma dei luterani dalla Chiesa di Roma, la condotta di questo Cavaliere crepuscolare strappa solo applausi, in attesa che le sue restanti ciurmaglie si sparpaglino: un po’ con Salvini ed un po’ con Renzi. Ha saputo tenere il campo con l’onore di un vecchio condottiero.

ENRICO MENTANA: 10 e Lode

Col fante di coppe in mano quando regna denari, ha sbaragliato la concorrenza della Rai a colpi di maratone. A proposito, la Rai, voto 0, semplicemente inguardabile. Con fantomatici costituzionalisti presi direttamente dai tavolini dei bar, direttori di TG avventatamente in diretta video senza uno straccio di dimestichezza col video. Le truppe sovraniste della rete 2 ritiratesi in disordine vista la malaparata del capitano, come tanti piccoli Badoglio. I compagni superstiti di Rai 3 frastornati tra la gioia di veder tornare gli amici di sempre al potere, ed un certo rosicamento perché se sono tornati al potere lo devono per l’ennesima volta all’odiato fiorentino, che compagno non è.

ALESSANDRO DI BATTISTA: 2

Non farà nè il Ministro nè il Parlamentare: deve ancora sperare nel buon cuore di Travaglio per avere uno stipendio.

LUCIA BORGONZONI: 5

Quando si è sbottonata la camicetta in aula tutti hanno sperato: ma poi ha tirato fuori una maglietta con una scritta idiota sopra. Delusione.

DARIO MARCUCCI: 7

A sinistra il baffo torna di moda. Non sarà quello aristocratico di D’Alema, ma quello del capogruppo dei senatori dem ha tenuto la scena senza mai arricciarsi, come quelli che sanno il fatto loro. Sorpresa.

E allora il governo?

Se con le pagelle siamo stati scherzosi, torniamo alla serietà, esprimendo un concetto. Nato solo contro Salvini, sulla base di varie convergenze tattiche, tra soggetti apparentemente inconciliabili, il Conte bis potrebbe diventare una cosa seria solo in un caso. Se saprà affrontare in modo chiaro i problemi che il precedente esecutivo, non solo non ha risolto, ma che ha aggravato notevolmente. Parliamo dei soliti problemi italiani, quelli che la politica non riesce a risolvere da 30 anni. La crescita economica e la questione della ridefinizione dell’identità italiana nella globalizzazione. I pentastellati non potranno essere la risposta, né la guida politica di una fase nuova, dato che sono corresponsabili dello sfascio degli ultimi 14 mesi, non rendendosi minimamente conto del medesimo sfascio. La responsabilità starà tutta in capo al Pd. Ci sarebbe da preoccuparsi quindi: tuttavia la speranza è l’ultima a morire. Se infatti i dem mostreranno di aver capito davvero la lezione del 2018, tolto di mezzo il feticcio di Renzi su cui riversare tutte le frustrazioni della sinistra italiana, che si toglierà d’impaccio da solo cercando di rappresentare la versione 2.0 del partito della nazione, potranno concentrarsi sull’azione di governo sui temi citati. Ne saranno capaci? Non saprei: ma è l’ultima occasione prima di essere travolti.

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