L’escalation russa alle porte

Il 7 febbraio 2022 si è tenuto il tanto atteso incontro tra Macron – Presidente della Repubblica Francese – e Putin, Presidente Russo. Il dibattito di oltre cinque ore verte sempre sull’unico obiettivo di convincere il presidente russo a rimuovere del tutto o in parte le decine di migliaia di soldati che ha posizionato lungo il confine con l’Ucraina. I due hanno parlato della crisi generata dalle richieste di Mosca per ragioni di sicurezza in Europa. C’è da dire che, anche alla luce delle immagini che circolano su internet, l’incontro è stato impostato sul tema della confidenza (Putin ha chiamato per nome Emmanuel Macron!) seduti sul famoso tavolo ovale bianco a norma di COVID.

Dal 2017, l’inizio del suo mandato, Macron ha assunto posizioni molto flessibili nei confronti della Russia cercando di mantenere sempre un rapporto di reciproco rispetto aperto al dialogo tra le parti. È uno dei massimi rappresentanti del pensiero più diffusi nei circoli europei, secondo cui bisognerebbe dialogare di più con la Russia sia per impedire un avanzamento del rapporto di alleanza con la Cina, sia per creare legami commerciali (vd. Merkel con gli accordi sul North Stream 2), culturali e istituzionali. Un rapporto, secondo alcuni, che crea divisioni all’interno dell’Unione Europea.

Macron è convinto che Putin non sia realmente interessato ad invadere l’Ucraina, ma che voglia soltanto rassicurazioni sull’espansione della NATO verso est, la principale alleanza militare tra i paesi occidentali che nell’ultimo periodo ha inglobato diversi stato facenti parte dell’Unione Sovietica. Secondo il presidente Putin, a mettere il dito nella piaga sono anche i continui cambiamenti di idee del presidente ucraino Zelensky sugli Accordi di Minsk. In sostanza, l’Ucraina vorrebbe entrare a far parte della NATO ma ci sarebbero accordi con la Russia che la frenano. Ma il presidente francese ha spiegato e precisato che bisognerebbe accettare il diritto dei Paesi di scegliere come organizzare la propria sicurezza senza interferire. Nel caso in cui l’Ucraina entrerà a far parte della NATO, essa userà questo strumento militare per riconquistare la Crimea attualmente nelle mani russe. E la catena non si spezzerà perché automaticamente ci sarà la guerra fra NATO e Russia. Nessun vincitore, solo perdenti.

L’ossessione Ucraina.

Dopo soli 8 anni dall’invasione della Crimea, Putin ci riprova. Le ragioni sono innanzitutto strategiche e geopolitiche, dunque impedire l’espansione della NATO e limitare così la presenza politica e militare dell’Occidente. Un’altra ragione, forse anche la principale e che smuove tutto, è la storia. Da tempo ormai, e riconfermato nel 2014, Putin sostiene che i russi e gli ucraini siano un unico popolo. Un solo popolo che è stato diviso dalla fine dell’Unione Sovietica, rappresentanza della disgregazione della Russia storica, modificandone anche i confini e i territori. Più volte hanno sostenuto che l’Ucraina non è nemmeno uno stato ma, come affermò il consigliere di Putin poi caduto in disgrazia Vladislav Surkov, è <<uno stupefacente entusiasmo per l’etnografia, portato agli estremi>>.

Un’ossessione quella di Putin non condivisa affatto sul versante ucraino. In un suo saggio, il presidente russo ha giustificato questa pretesa di identità con la discendenza dallo stesso popolo, i cosiddetti “discendenti” della Rus di Kiev, ovvero un insieme di tribù slave, baltiche e finniche che nel IX secolo si estendevano dal mare Bianco al mare Nero nel sud, comprendendo anche i territori ucraini, bielorussi e russi. L’Unità della Rus di Kiev era la religione Cristiana ortodossa, per Putin oggi molto fondamentale. Poi venne divisa dai mongoli che mantennero il controllo della parte russa, mentre l’Ucraina era invasa da lituani, polacchi, svedesi e in parte anche dall’impero austroungarico. Svilupparono una propria lingua, quella Ucraina, che è separata da quella russa. Infatti, ad oggi, la maggior parte del popolo ucraino è bilingue, soprattutto nella parte orientale del paese. Questo vale anche per l’attuale presidente Zelensky, che viene dalle regioni orientali ed è bilingue. Anche dopo che l’impero zarista riconquistò gran parte del territorio ucraino, il popolo continuò ad avere una propria identità culturale e linguistica. L’identità della “piccola Russia”.

Con il crollo dell’Unione Sovietica decisa nella notte dell’8 dicembre 1991 in Bielorussia, si ebbe lo stacco totale dei due stati e la conquista definitiva di quella che è attualmente una libertà tanto invidiata da Putin. Ma era necessario questo stacco: l’economia russa era al collasso e fu Yeltsin a farsi promotore della dissoluzione dell’Unione Sovietica, con l’obiettivo di risollevare la Russia dal crollo economico ed abbandonare – per questo – i pesi morti che si trascinava dietro (tra cui l’Ucraina).

La rinuncia a questo territorio è stata molto sofferta, perché era la seconda economia dell’Unione insieme alla Bielorussia. Con l’accordo di Budapest nel 1994, l’Ucraina accettò di consegnare tutte le sue armi nucleari in cambio del rispetto della Russia nei confronti dei propri confini. Una promessa che si è rimangiata dopo decenni.

Kiev con l’Occidente o con l’Oriente?

Secondo alcuni sondaggi recenti, il 90% degli ucraini vuole che il paese rimanga indipendente. È un sentimento fortemente voluto dalla componente giovanile della popolazione, che si sente più vicina e aperta verso l’Occidente: il 75% vuole entrare nell’Unione Europea, il 62% del consenso proviene proprio dalla parte orientale.

Come afferma la giornalista ucraina Nataliya Gumenyuk al New Yorker: <<Putin si sente offeso e tradito dall’Ucraina e dagli ucraini, non soltanto dal governo ucraino. E penso che per lui sia piuttosto importante provare che no, la democrazia in Ucraina non è davvero genuina, che è stata imposta dall’Occidente. Perché ammettere che le società possono essere democratiche autonomamente significa ammettere che il cambiamento è possibile in Bielorussia, in Georgia e perfino in Russia>>.

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