Liberali senzatetto

L’esperienza unitaria del Terzo Polo, mai nata ufficialmente, è finita tra gli insulti durante la fase preliminare. Un po’ come se i membri di una squadra, prima di iniziare la partita di campionato, se le dessero di santa ragione in maniera tale da rendersi tutti infortunati. Così è accaduto tra Renzi e Calenda: quel progetto, che avrebbe potuto gettare le basi per un tripolarismo utile al nostro Paese, è naufragato; il sistema politico italiano ha perso, dunque, un’occasione importante.

Sulla scacchiera dei partiti e delle leadership politiche, dove si posiziona oggi un liberale? La domanda, dal post pandemia in avanti, richiede con urgenza una risposta. Se si procede con una breve analisi dei principali schieramenti politici, si esclude la possibilità di trovare una casa liberale, europeista, garantista, popolar-progressista, riformista e moderata che possa ospitare dissidenti e astenuti, per colpa di un populismo galoppante negli scorsi anni – e oggi morente. A destra, eccezion fatta per Forza Italia, che tra tutti è il partito più incline a rappresentare coloro sopra descritti, benché soffocato da alleati illiberali nel senso autentico dell’aggettivo in chiave politica, non c’è tetto dove un liberale possa rifugiarsi. Lega e Fratelli d’Italia, che dal 2018 a oggi, alternandosi nei picchi di consenso, hanno riportato la destra al governo, sono protezionisti, sovranisti e nazionalisti, nel significato più claustrofobico del termine. Hanno valori, tradizioni, culture significative e innegabili: la destra, storicamente, vanta una rosa di intellettuali da cui ispirarsi, se ben compresi. Ma quello che servirebbe oggi all’Italia, ovvero uno spazio riformista, garantista e popolare, è lontano dalla destra di governo, soprattutto se si valuta la posizione europea di Giorgia Meloni, sì ridimensionata, ma sempre dalla parte dei conservatori più euroscettici. A sinistra, soprattutto dopo la vittoria di Elly Schlein, non è un mistero che il liberalismo moderno sia ben lontano dai valori e dalle propagande messi in atto dal PD. Il M5S, l’alter ego dei democratici negli anni d’oro del grillismo, è difficilmente accostabile al garantismo e al liberalismo che stiamo cercando: l’incoerenza manifestata negli anni, durante le mutazioni dei pentastellati, è l’ostacolo maggiore al “polo del futuro”. L’idea di una democrazia in continua evoluzione, con mandati limitati e cambi di vertice costanti, se ben attuata, poteva essere uno spunto interessante per smuovere l’immobilismo della politica; la realtà dei fatti ci ha mostrato le falle enormi di quel sistema, che in parte si è sgretolato e in parte è stato picconato volontariamente dagli stessi vertici, felici di aver trovato pane e lavoro per molto tempo. Escludendo per necessità di trattazione i partiti “minori”, laddove, comunque, sarebbe difficile trovare affinità con l’idea di spazio politico che stiamo descrivendo, rimane un vuoto, al centro dell’emiciclo, che Renzi e Calenda non sono riusciti a colmare.

È stata un’occasione sprecata. La pandemia, il ritorno della guerra, la crisi economica ed energetica, la necessità di regolamentare nuovi diritti; dinnanzi a queste esigenze, che ciclicamente si pongono all’attenzione dei popoli, e che i governi sono chiamati a disciplinare, la politica non può rimanere quella conosciuta finora. E soprattutto non può esservi solo politica nazionale: il bisogno di una politica comunitaria, finanche di un esercito comune, nonché di una politica estera unitaria, appare come difficilmente contestabile. Laddove il populismo è al tramonto, poiché incapace di fronteggiare sfide di più ampia scala, è necessario trovare un nuovo stimolo che possa da un lato coinvolgere i cittadini a una maggiore partecipazione alla cosa publica, dall’altro aprire una stagione di riforme attente ai diritti, ai bisogni degli italiani e al futuro in ottica globale. Ovvero ciò che il populismo, per natura, non può fare, giacché concentrato solo sull’oggi. Col Terzo Polo, qualora in una visione utopica costituito, regolamentato e lanciato nell’agone e tra la gente, si sarebbe sviluppata un’area interessante di confronto su temi impellenti: dai diritti, discussi non in ottica ultra-progressista bensì riformista, o meglio riformatrice, alla partecipazione al voto. Quei liberali senzatetto, che oggi votano per inerzia e col naso tappato, o quelli che si astengono per coerenza, sarebbero stati coinvolti nel dibattito pubblico, sarebbero tornati alle urne con certezza ed entusiasmo, avrebbero ripreso a “fare politica”. Che non significa procacciare voti, ma nutrire amore per la polis, la città-stato, che è di tutti; fare politica non per sé, egoisticamente, ma per altruismo.

Inutile dire ai disfattisti (entrambi, senza verificare chi dei due è senza peccato) “ripensateci”, perché la toppa sarebbe più grave del buco. Troppi insulti, eccessivo machismo, uno spettacolo indecoroso per chi ambiva a creare qualcosa di serio. Sarebbe bastata un po’ più di pazienza da ambo le parti e, sopratutto, l’umiltà di farsi da parte: perché questo progetto potesse funzionare, la leadership sarebbe dovuta essere “terza”. Renzi e Calenda fondatori, in un certo senso padri del progetto, ma con una guida diversa, scelta democraticamente in sede congressuale, proveniente dal mondo delle professioni ma vicina ai valori del progetto. Da lì in poi, un cammino unitario su temi condivisi, con una tribuna utile per fare eco a battaglie di interesse comune e non esclusivamente di partito, cioè Il Riformista, di cui Renzi sarà direttore editoriale e Andrea Ruggieri, liberal- garantista, direttore responsabile.

Nella rosa attuale dei politici, è difficile individuare qualcuno che possa riprendere in mano il progetto. E in un futuro così incerto, i senzatetto aumenteranno, finché qualcuno capirà che tertium non datur è un’espressione risalente alla Metafisica di Aristotele, IV secolo avanti Cristo. Pertanto, forse, oggi un po’ datata.

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