L’ultima lezione di Luca Serianni

Corridoi tra l’aula di geografia e la penna verde 

Per chiunque abbia mai varcato le soglie della Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza, è facile avere un chiaro tragitto in mente: il corridoio largo e marmoreo, le scale a destra e a sinistra, che avrebbero condotto allo stesso punto, come un falso labirinto che prima disorienta, e poi rasserena nella medesima destinazione, infine raggiunta.

Al primo piano, in fondo a destra: l’aula di Geografia. 

Luogo in cui valeva la pena seguire seduti a terra, con il quaderno vacillante sulle ginocchia, e le dita che faticosamente cercavano di seguire quell’eloquio così disteso, pacifico, mai fintamente retorico. 

Luca Serianni ha accompagnato la crescita e la formazione, lì da quell’aula di Geografia e da tutte quelle che lo hanno accolto, di chiunque si sia mai confrontato con la vastità e l’immensa ricchezza della lingua italiana, dei suoi usi, della sua letteratura, dei suoi parlanti e dei loro capricci.

Nel ricordare la sua carriera, il suo nome e la sua ultima lezione ci hanno pensato a Più Libri, Più Liberi Paolo Di Paolo e Cristina Faloci, tra la commozione di una sala gremita e silente, proprio come quelle in cui insegnava Serianni.

Nel giugno 2017, Serianni si era congedato ufficialmente dall’insegnamento, in un suo ultimo e solenne bilancio di quello che il suo magistero aveva simboleggiato per tutta l’accademia; Di Paolo e Faloci infatti rievocano non solo la statura dell’uomo di Lettere, di cultura, di profonda conoscenza, che a tutti sarà capitato di chiamare “il Professor Serianni”; a quasi cinque mesi dalla sua scomparsa, sono tanti gli aneddoti che rievocano la memoria di chi aveva conosciuto Luca, la sua precisione, la sua amorevole dedizione agli studenti, stella polare non solo della sua inesausta ricerca, ma anche della sua profonda curiosità.

“Come ti giri, trovi allievi di Serianni”: così Paolo Di Paolo, infatti, commenta scherzosamente ad un certo punto, ammiccando al pubblico, in onore di quel senso di comunità che proprio quelle lezioni riuscivano a conferire; questo perché la gentilezza della docenza sapeva posarsi con discrezione sulle identità degli studenti, sulle loro storie. Anche nella correzione dell’errore Serianni sapeva valorizzare il guizzo interpretativo, la rarità, lo stimolo di un lavorio algebrico, alla fine del quale il valore della x si sarebbe trovato lo stesso.

Indelebile e totale è l’eredità di quella penna verde, cui il maestro era così affezionato: cerchiava i punti più brillanti degli elaborati dei suoi allievi, riuscendo a istituire così una traccia coloratissima e vivida dei suoi insegnamenti; il senso di appartenenza profondo è infatti ciò che più si augurava Serianni, ed è ciò che ancora riesce a emozionare chi ne ricordi la vita e l’operato.

In quella sua lezione di commiato del 2017 infatti, l’appello era stato rivolto proprio ai suoi studenti, che costituivano per lui lo Stato: il fondo di quel trasversale senso comunitario, baluardo di quella curiosità da tutelare, di quell’intelligenza da continuare a interrogare in modo inesausto e preciso. 

È questo che Serianni, infatti, intendeva suggerire con la sua meticolosa cura, nella penna verde per cerchiare i punti salienti di un lavoro ben fatto, o nell’osservanza sempre ilare e mai pedante dell’uso di accento grafico su sé stesso, la cui dimenticanza non poteva affatto perdonare.

In un gioco di specchi in cui gli eredi continuano a interrogare i loro maestri, Di Paolo e Faloci riescono così a parlare, orfani, di un movimento nietzschiano cui fanno riferimento alla fine dell’incontro: man mano infatti, nietzschanamente, si diventa ciò che si è. 

E noi, studentesse e studenti ormai cresciuti, o appena affacciati alla storia della nostra lingua, non possiamo che stringerci proprio attorno a quel cerchio verde, per augurarci di essere sempre il punto saliente, quello brillante e da evidenziare, di tutti quegli insegnamenti, di cui non possiamo far altro che essere eredi.

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