Putin sale con il fiatone al Duma

Sotto le note dello Schiaccianoci, si assiste all’ennesima vittoria di Putin – stavolta sudata amaramente – alle elezioni legislative russe del 2021.

Il suo Partito, Russia Unita, ha ottenuto il 49,82% della maggioranza, ovvero 324 dei 450 seggi che gli permetteranno comunque di apportare modifiche alla Costituzione. Un risultato da non sottovalutare perché in calo rispetto al 2016 che era di +4%. Dietro Russia Unita, si trovano il Partito Comunista con il 18% delle preferenze, il Partito Liberal Democratico, Russia Giusta: per la Verità e un nuovo partito (Nuovo Popolo) che si pensa sia un progetto del Cremlino. Il portavoce Dmitry Peskov ha precisato che queste elezioni sono state del tutto trasparenti ed aperte, strutturate sotto una sana competizione.

Non la pensa così l’opposizione rappresentata in maggior numero dal Partito Comunista, che ha parlato di brogli elettorali. Effettivamente dall’inizio delle elezioni (il 17 settembre 2021) ci sono state delle “problematiche” riportate anche sul sito Golos (Voce):

  1. Restrizioni imposte ai candidati: 9 milioni di russi non possono essere eletti;
  2. Tutti gli individui legati ad organizzazioni “estremiste” (come il movimento di Navalny) non possono candidarsi;
  3. Il numero dei candidati è ridotto perché filtrati ulteriormente dalle autorità;
  4. Poca trasparenza della Commissione Elettorale Centrale (CIK) diretta da Ella Pamfilova: ha criptato i dati, facendo in modo di non poterli esportare altrove. Lo studioso di statistica Sergej Spilkin se ne è accorto mentre raccoglieva informazioni sulle elezioni del 2016. Il sito non diffondeva altrove i dati copiati al suo interno;
  5. Coercizione nei confronti dei lavoratori statali;
  6. Pressione sugli osservatori, dovuta anche alla volontà di estendere le elezioni per ulteriori 3 giorni;
  7. Il voto elettronico, introdotto a livello federale nelle città Mosca e Sebastopoli (Crimea) e altre regioni come quella di Kursk, Murmansk, Niznij Novgorod, Rostov e Jaroslav.

Quest’ultimo punto ha fatto dubitare enormemente della veridicità delle elezioni. I primi risultati, infatti, mostravano che il partito di Putin era in netto calo in molti seggi. Dopo l’uscita dei risultati dei voti online tutto si è ribaltato: a Mosca, ad esempio, i candidati pro-Cremlino sono stati dichiarati vincitori in tutti i 15 distretti. Ma la cosa che desta tanto sospetto è che i dati sono stati pubblicati dopo ore. Invece, essendo online i risultati dovevano essere immediati!

Direttamente dal carcere, Navalny.

Alexei Navalny, in carcere da febbraio 2021, e i suoi alleati sostengono proprio questo in un post su Instagram:

«La paura del Cremlino nei confronti del voto intelligente è così grande, che hanno bloccato me. Ora, quando mi viene a visitare un avvocato, lo fanno passare, ma subito dopo nella stanza dove parliamo attraverso il vetro giunge un addetto della colonia e ci informa che l’incontro con l’avvocato ‘viola l’orario quotidiano’ e lo interrompe. Vengo riportato indietro nella mia baracca. È illegale, ovviamente. Ma perché lo fanno? A causa vostra. Perché io qui tutti i giorni vi incito ad andare a votare il 19 settembre e ad usare il voto intelligente per battere Russia Unita. Più persone riesco a convincere e più possibilità abbiamo di far uscire dalla Duma un paio di disgustosi ladri di Putin. Così qualcuno al Cremlino ha deciso che alla vigilia delle elezioni mi sarei ispirato e avrei scritto qualcosa che avrebbe convinto molte persone. Non lasciate che pensino che semplicemente proibendomi di scrivere post faranno amare a tutti Russia Unita».

Con queste dichiarazioni, le autorità russe hanno bloccato ulteriormente la libertà di espressione dei media e gli incontri con il suo avvocato così da zittirlo. E meno male che si trattava di elezioni eque e senza ostacoli…

A Mosca le autorità hanno pubblicato i risultati 14 ore dopo la chiusura delle urne. Secondo Navalny, i dati offline mostravano che i candidati dell’opposizione avrebbero conquistato 12 seggi su 15 a Mosca e 7 su 8 a San Pietroburgo.

Dunque, una vincita non a tutti gli effetti riconosciuta: arriva la dichiarazione su Twitter di Yevgeny Roizman, ex sindaco di Ekaterinburg e figura di spicco dell’opposizione. A seguire dal Partito Comunista Mikhail Lobanov, che ha affermato che vuole fare ricorso. Lobanov, 38enne matematico che si definisce “democratico socialista”, era avanti 11 mila voti rispetto al rivale prima che il risultato venisse ribaltato.

La censura ai media.

Putin, sempre più in difficoltà, decide di affilare tutte le unghie per portare a casa la vittoria delle elezioni. Questo è sempre tutto frutto di un gioco per assicurarsi anche i voti alle elezioni presidenziali. Dunque, quale miglior modo di vincere facile reprimendo gli oppositori? Il primo a dare prova di ciò è il team di Navalny che ha annunciato la rimozione dagli store di Google e Apple dell’applicazione da loro usata, “Smart Voting”.

Analizziamo bene, però, il contesto. Siamo in piena crisi pandemica, la Russia ha una bassa percentuale di popolazione vaccinata con lo Sputnik e la variante Delta ha dato il colpo di grazia. Dunque, questa situazione può giustificare in qualche modo la scelta del voto elettronico. D’altronde, lo abbiamo adottato anche noi con il Movimento 5Stelle e la loro piattaforma su cui si decide e si è deciso tutto, durante il governo e il post governo italiano.

Inoltre, dal 2014 la crisi non è migliorata: il reddito dei cittadini russi diminuisce sempre più tant’è che ad oggi il 14% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Il partito di Putin continua a perdere consensi anche se dalle elezioni si manifesta il contrario. Dunque, la migliore soluzione per coprire tutto questo e far in modo che non perda fiducia è reprimere la libertà di stampa dei media in ogni modo. A cominciare dagli oppositori, che non possono candidarsi perché considerati “estremisti”.

Come afferma Ivan Zhdanov, un alleato di Navalny che attualmente si trova all’estero, la rimozione di tutto ciò che l’opposizione può dire o scrivere del partito vincitore equivale ad effettiva censura politica.

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