Questa non è politica

No Fedez, non funziona così. Intendo la politica, quella vera, non funziona così. Non è slogan, non è supporto superficiale di questa o quella legge. E ancora, non è una story su Instagram, non è una riga buttata in pasto ai seguaci. La politica, quella vera, è discussione, passione, sbagli. È arte, arte della parola, è la più grande opportunità che abbiamo di esprimere le nostre idee, incertezze, i nostri dubbi, e la nostra opposizione. Ma seriamente, non tramite un selfie.

E la discussione creatasi attorno al ddl Zan è l’apice di una politica strumentale, vuota. Possiamo mettere in discussione l’efficacia del disegno di legge, già approvato lo scorso anno durante in governo Conte bis alla Camera dei Deputati ma che aspetta ancora l’approvazione al Senato, ma non è questo il punto. Non sarebbe la prima legge scritta in maniera grossolana e superficiale. Anzi, sarebbe un tassello da aggiungersi al modus operandi degli ultimi due anni, dominati da bandiere gialle e inettitudine cronica.

Ma, nonostante l’onorevole Alessandro Zan, autore dell’omonimo disegno di legge, sia esponente del Pd, il centrosinistra sembra essere scaduto nella politica per delega agli influencers, quella solo formale, dove a metterci la faccia sono i vip, quelli famosi su Instagram insomma. Come dimenticarsi della carrellata di foto sui social media di personaggi pubblici, e che, curiosamente, di politica non si sono mai informati, con la scritta “ddl Zan” sul palmo della mano. Il Pd ha deciso di metterci la faccia. Sì, quella degli altri, come quella di Fedez, rapper e grande (si fa per dire) appassionato di politica. Tanto è vero quanto le volte che ha chiamato in causa personaggi politici di ogni dove nei suoi testi tutt’altro che politicamente corretti. Ma era solo una fase, evidentemente.

Ma, cosa ancora più paradossale è che il Pd si appoggi a Fedez per allargare il consenso dell’opinione pubblica al ddl Zan. Come dimenticarsi, d’altronde, dell’intervento del rapper al concerto dello scorso primo maggio, spazio che avrebbe dovuto essere dedicato ai diritti dei lavoratori, soprattutto dopo un anno di incertezza aumentata a causa della pandemia. Un discorso intriso di devozione al disegno di legge, nel quale non sono mancate accuse a esponenti di centrodestra. Ecco allora i nodi da sciogliere: quando e come abbiamo deciso di avvalerci di portavoce del mondo dello spettacolo per le battaglie politiche? Un punto di rottura, o l’inizio di una fase di artisti, attori, influencers, vip, attivi politicamente? E dov’è quel confine che fa della politica un’arte nobile, dove uno non vale uno?

Laddove la sinistra non riesce ad arrivare, ecco che chiama in soccorso gli influencers, che, improvvisamente, diventano paladini del bene, promotori di solidarietà, portavoce di idee non proprie. Certo, in passato sono molti gli esponenti del mondo dello spettacolo che hanno deciso di esporsi politicamente riguardo problemi socioculturali. Ma oggi, grazie (o a causa?) dei social media, gli influencers sono i nuovi intermediari tra partito politico e società civile, quelli che un tempo erano i circoli del Pd, oggi cerchie ristrette di pochi troppo impegnati a indirizzare le correnti di partito. E quindi, ecco che assistiamo al laissez-faire da parte del Pd ai nuovi influencers politici, senza considerarne i rischi, tra cui, disinformazione, distorsione della realtà, informazione parziale. Bastano una manciata di Instagram stories di un rapper a movimentare in meno di un’ora il popolo dei social tra accuse e condanne di chi non la pensa come lui. I dati e la veridicità delle notizie passano in secondo piano, una voce di sottofondo incomprensibile, rispetto al tenore delle accuse, talvolta infondate nei confronti di chi non è gradito al rapper. E al Pd.

Un rischio alto, quello che si assume la sinistra oggi, che contribuisce all’aumento di polarizzazione della nostra opinione pubblica. Un rischio che implica l’abdicazione dell’attività politica sul territorio, in favore di una politica (se così si può chiamare) virtuale, dove non vige la competenza, bensì l’eco mediatica, la più ampia possibile. Una politica inconsistente, dove la discussione è sostituita ad accuse unilaterali; dove la parola arte non vive più nella bocca di chi la professa.

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