Ride the Lightning: Nirvana – “Bleach” (1989)

La musica spesso denuda, spoglia la persona da tutti quegli strati che la limitano e che, di conseguenza, non ne permettono un pieno sviluppo.

Sono numerosi i lavori che si potrebbero citare in tal senso. Si è deciso, però, di prendere come riferimento un album iconico ma, allo stesso tempo, notevolmente sottovalutato, ossia “Bleach” – Nirvana del 1989.

I lavori vanno contestualizzati, così da avere una panoramica completa e significativa su di essi. Il contesto nel quale si sviluppa il primo lavoro dei Nirvana è dominato dalle classiche difficoltà che “aggrediscono” qualsiasi artista (o band), special modo all’inizio della propria carriera.

La situazione economica rappresenta l’ostacolo più arduo da oltrepassare; Cobain era ben cosciente del grande sforzo finanziario per la realizzazione del disco, in particolare per le sessioni in studio.

Anche a livello organizzativo il gruppo pativa situazioni precarie, come l’abbandono del batterista Dale Crover (che passerà in seguito ai Melvins), sostituito da Chad Channing, primo batterista stabile della band.

Nonostante ciò, i Nirvana riuscirono comunque ad andare avanti, Kurt Cobain utilizzò i suoi risparmi per pagare i primi passi del neo album, successivamente vi fu un significativo contributo finanziario di Jason Everman, chitarrista e grande estimatore della musica dello stesso Kurt, che compare nei crediti della copertina senza, però, aver mai partecipato alle registrazioni.

I cantieri di “Bleach” furono i Reciprocal Studios di Seattle, sotto la direzione di Jack Endino (chitarrista degli Skin Yard nonché produttore).

La casa discografica che si celava dietro la realizzazione dell’album era la “Sub Pop”, famosa anche per costituire il cuore della spinta verso la scena grunge.

Perché, però, il disco “mette a nudo”?

Andiamo per gradi, si discorre di un prodotto grezzo, ruvido, dove l’essenza la si ritrova proprio in quei passaggi dove emergono le diverse “criticità” (termine magari non stilisticamente preciso ma calzante per poter rendere l’idea).

Il brano di apertura, “Blew”, risulta perfetto per fungere da guida nel proseguo dell’ascolto; il tutto viene introdotto dai giri di basso di Krist Noveselic, secchi e chiusi, giusto preludio all’arrivo dei riff di Cobain.

L’anima del primo disco dei Nirvana rappresenta la voglia, la necessità di suonare, di procreare musica, quindi inevitabilmente all’interno dell’album sono presenti dei frammenti del tutto peculiari che, insieme, vanno a formare un unico grande mosaico. “Love Buzz”, primo singolo estratto, è il sunto di ciò che è appena stato sottolineato; caratterizzato da influenze orientali e giri psichedelici.

Fra i diversi picchi dell’album vi è sicuramente “Negative Creep”, pezzo che contribuisce a dare un cambio di passo significativo all’intero prodotto.

Insomma, “Bleach” va scoperto per quello che è, ma soprattutto per quello che è stato.

La concentrazione del gruppo nelle session, affinché si ottimizzasse il tempo per ridurre i costi di produzione, è uno degli aspetti più pregnanti che fuoriescono dall’analisi di questo prodotto.

L’album in discorso è spesso oscurato dai suoi successori, “Nevermind” ed “In Utero”, per via del grande impatto provocato, special modo con il primo.

Sicuramente a livello organizzativo, di produzione e anche tecnico, questo primo disco soffre dinamiche per alcuni versi anche fisiologiche. Si è già anticipato come alcuni aspetti incidano ad inizio carriera, ma forse è proprio qui che si nasconde il grande “impianto” alla base di questo lavoro.

L’ultimo passaggio da affrontare è quello legato alla copertina, una foto scattata da Tracy Marander, fidanzata all’epoca di Cobain, ad Olympia durante un loro concerto.

Foto che trasuda “violenza” e necessità, sunto perfetto di “Bleach” e, forse, anche del resto della loro carriera.

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