Congresso della famiglia: chi stabilisce cos’è normale?

Dal 29 al 31 marzo 2019 nella città di Verona si terrà la tredicesima edizione del congresso mondiale delle famiglie.

I partecipanti a questo raduno provenienti da tutto il mondo si riuniranno per manifestare in favore della famiglia tradizionale ( ovvero patriarcale e eterosessuale), contro l’aborto, contro i matrimoni gay e in generale contro i diritti LGBTQI, con posizioni antifemministe e contro il divorzio.

Fra i partecipanti ci saranno diverse cariche istituzionali fra cui è prevista la partecipazione del ministro dell’interno Matteo Salvini, il ministro per la famiglia e la disabilità Lorenzo Fontana, il parlamentare leghista e ultracattolico Simone Pillon e il pastore statunitense antiabortista e antigay Jim Garlow, solo per citarne alcuni.

Il fondamento di tutti gli argomenti proposti nel congresso è il concetto di normalità, ovvero di ciò che si ritiene consueto o regolare, in particolar modo partendo dal presupposto di ciò che è naturale.

Far coincidere ciò che è naturale con ciò che è normale e quest’ultimo con ciò che è tradizionale è un antinomia, questo perché l’uomo è già sempre contro natura partendo dal suo stesso modo di stare nel mondo, esempio pratico di ciò è la capacità dell’uomo di creare e utilizzare strumenti che facilitano la sua vita come il costruire e poi volare con un aereo oppure attraversare l’oceano con una nave, o ancora il costruire una diga che quindi va addirittura a contrastare e a danneggiare quella naturalità tanto reclamata.

Si può certamente rispondere che quel “secondo natura” sia per una concezione normale che risiede nella famiglia tradizionale, ma il concetto di normalità è una lama a doppio taglio; questo perché se in parte è fondamento dell’ideologia tradizionalista, dall’altra parte è il suo più grande punto debole che si propone con il semplice interrogativo – chi stabilisce cos’è normale?- essa infatti è un predicato quanto mai territoriale e temporale che molte volte si deforma e trasforma all’interno dello stesso territorio; ad esempio in Italia negli anni ottanta dell’ ottocento era “normale” che un bambino di sei anni lavorasse nei campi agricoli per aiutare i genitori, risulta quindi impossibile da traslare a livello mondiale questo concetto con un tentativo di unificazione totale.

In definitiva i tradizionalisti si rifanno a quella che in campo logico è chiamata fallacia “ dell’ appello alla tradizione” che consiste nell’inferire che qualcosa sia migliore o corretto semplicemente perché è sempre stato fatto cosi. Si ignorano quindi i cambiamenti storici e culturali, sia nel campo tecnologico; aborto sicuro, fecondazione in vitro o assistita che permette di avere figli a chi biologicamente non è predisposto, sia nel campo dei diritti umani e giuridici; libertà di espressione della propria sessualità, parità sociale e arbitrio della propria persona, in cui rientrano nettamente le possibilità di adottare figli da parte di coppie dello stesso sesso e quella di divorziare dal partner.

I tradizionalisti cadono quindi dentro un vortice di solipsismo e deriva culturale verso l’altro, ma anche verso se stessi.

Il dualismo normalità-tradizione si rigenera continuamente nel tempo, poiché specchio dell’agire umano, le tradizioni e la normalità di domani non saranno quelle di oggi, come per noi non sono quelle di ieri.

Se si vuole dare un nome alla normalità, si può forse chiamarla rispetto che si deve dare incondizionato a un qualsiasi essere umano in virtù del fatto che è tale e non per le sue preferenze o per altre etichette sociali.

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