Riforma costituzionale, il premierato la nuova sfida di Giorgia Meloni

Dopo la presentazione della proposta di legge varata dal governo Meloni, volta a modificare gli articoli 59, 88, 92 e 94 della Costituzione, il “Premierato” è entrato di diritto al centro del dibattito politico.

La proposta prevede l’abrogazione dei senatori a vita, manterranno la carica esclusivamente i presidenti emeriti della Repubblica, ma soprattutto l’elezione a suffragio universale del presidente del Consiglio dei Ministri.

L’art. 92, così come modificato, recita: “Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio, assegnato su base nazionale, garantisca il 55 per cento dei seggi nelle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Presidente del Consiglio dei Ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura. Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i Ministri”.

L’art. 94 presenta, al terzo e all’ultimo comma, le seguenti modifiche: “Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere.” (terzo comma); “In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio eletto, il Presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia. Qualora il Governo così nominato non ottenga la fiducia e negli altri casi di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio subentrante, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere” (ultimo comma).

Sostanzialmente una breve riforma, non articolata, ma che apporterebbe importanti modifiche alla nostra carta costituzionale.

La domanda che mi pongo è la seguente: “È necessaria questa riforma?” No.

Quando si parla di “Costituzione” e soprattutto di progetti volta a modificarla serve estrema serietà.

La carta va modificata, sì, ma sensatamente.

Tra le varie riforme costituzionali che si sono susseguite negli ultimi anni la più sensata era quella voluta da Matteo Renzi. Eliminazione del bicameralismo perfetto; abolizione del CNEL; modifica del Senato.

Una riforma che, senza l’errore di personificalizzarla, sarebbe passata al referendum.

Adesso ci ritroviamo, invece, con una riforma senza né capo né coda.

Elezione diretta del premier e stop, con conseguente diminuzione dei poteri sia del Presidente della Repubblica ma anche del Parlamento.

Dal 1994 ad oggi, in quasi tutte le elezioni politiche che si sono susseguite, si sono presentate “poli” o “coalizioni” e i vari presidenti della Repubblica hanno sempre assegnato l’incarico al leader vincitore della contesa. Quindi, quello che chiede la Meloni si è sempre verificato storicamente, senza bisogno di snaturare la Costituzione.

Altro aspetto, nella storia repubblicana i governi tecnici si contano sulle dita di una mano, e grazie ad alcuni di loro (penso a Draghi tra tutti) il Paese  è riuscito a sollevarsi da momenti di estrema crisi dove la politica è stata totalmente inerme.

Quindi, tralasciando i paragoni assurdi che vengono sempre fatti con gli altri Paesi per giustificare le riforme non considerando le differenze riguardanti forme di Stato e di Governo, la Costituzione se deve essere modificata lo deve essere in meglio, senza alcun tipo di risvolto populista.

Maggioranza e opposizione dovrebbero lavorare, con l’ausilio degli esperti in materia, in assoluta cooperazione.

Il premierato, con il doppio turno e con il limite di mandato, potrebbe essere proposta all’interno di una riforma più complessa che veda tra le tante cose –  come ha proposto Renzi – l’abolizione del bicameralismo perfetto, del CNEL e la modifica del Senato creando un Senato delle Regioni alla stregua del Bundesrat tedesco, accompagnato da una seria riforma elettorale (magari una maggioritario a turno unico o doppio turno come avviene in Inghilterra e Francia). Fin quando ciò non verrà proposto, ogni riforma sarà fine a se stessa e destinata al fallimento.

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