Sanremo 2024, un’insalata russa di tensioni: ire tra Guerre e Pace, Daspo agli artisti che devono stare lontani dalla politica, dalla guerra e dall’immigrazione

Sanremo: un vero e proprio successo, continua a far parlare di sé il Festival della musica italiana, meno per la musica e più per le polemiche.

Mi sento però sollevata dal fatto che quest’anno la polemica sulla propaganda del Gender, come la definisce Simone Pillon, sia rimasta chiusa in un cassetto o nei soli profili del signor leghista, una gioia, oltre a Ghali e Dargen l’ho avuta.

I NUMERI

In termini di share è stato un festival esplosivo, tant’è che durante la finale si è arrivati a toccare il 74%, la finale più vista dal ’95 ad oggi, e le ultime edizioni, dirette dal duo Amadeus e Fiorello, hanno attirato sempre più giovani, grazie ad una chermes di artisti trap e pop.

Secondo Forbes, il Festival ha un impatto sull’economia italiana pari a 205 milioni e risulta essere il nostro Super Bowl, secondo le analisi di EY l’evento incide sui servizi pubblicitari, sul turismo (quindi alloggi e catering) e sulle produzioni cinematografiche, televisive e musicali.

È importante ricordarsi che eventi del genere creano numerosi posti di lavoro tra diretti (1300) e indiretti (800).

Marco Rocco, partner di EY, stima che il festival genera altri 125 ML indirettamente. Non è al momento possibile valutare l’impatto che avrà nel corso dell’anno in relazione all’industria del fashion.

POLEMICHE

È stato sufficiente toccare gli argomenti “guerra” e “immigrazione” per scatenare l’inferno tra le istituzioni, fino ad arrivare all’ira funesta dell’ambasciatore israeliano che ritiene ci si debba vergognare nell’usare il palco del festival per diffondere “messaggi di odio”.

Ghali ha presentato il pezzo “Casa Mia” accompagnato da Rich Ciolino, un alieno, che ha più coraggio di chiunque altro. Il pezzo risulta essere un dialogo tra Ghali e Rich Ciolino, che infiamma con una strofa pesantissima:

“Ma, come fate a dire che qui è tutto normale | Per tracciare un confine | Con linee immaginarie | bombardate un ospedale | Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane | Non c’è mai pace”

Ghali è un’artista che ha sempre parlato di Palestina, d’immigrazione, di popoli in guerra, impegnato nel sociale, tant’è che ha donato una nave per salvare i migranti nel mediterraneo.

Ma cosa succede?

Il testo fa impazzire il web e coloro i quali sostengono la causa palestinese, l’ambasciatore israeliano comincia a preoccuparsi del festival della canzone italiana, Rich Ciolino durante la finale sussurra all’orecchio di Ghali di dire una cosa: Stop al genocidio.

Il momento diventa virale sul web, su Rai Play scompare, santa Rete Internet, siamo salvi.

Scoppiano le polemiche, nonostante nessuno abbia mai nominato né la Palestina né Israele, il giorno successivo da Mara Venier vengono fatte alcune domande a Ghali e anche a Dargen sul festival.

Dargen d’Amico è un altro di quegli artisti che non fa solo canzonette per divertirsi ma si espone: per fortuna abbiamo ancora qualcuno in Italia che oltre a scrivere del sole, delle bevute estive e delle danze, ci parla di migranti e bambini.

La prima sera si presenta con un abito pieno di orsetti, che simboleggiano le migliaia di bambini morti nel Mediterraneo, chiede il Cessate al Fuoco, canta “Onda Alta” un pezzo che parla d’immigrazione e di quanto sia difficile scappare dal proprio paese e rischiare la vita.

Basta così poco per far alterare la maggioranza e le istituzioni?

La domenica con la Venier, non è facile:

Ghali risponde al tweet dell’Ambasciatore israeliano Alan Bar con sincerità e pacatezza, dicendo:

“Mi dispiace che abbia risposto in questo modo, c’erano tante cose da dire. Ma per cosa altro avrei dovuto usare questo palco? Io sono un musicista prima di salire su questo palco: ho sempre parlato di questo fin da quando sono bambino”, replica a ‘Domenica In’ Ghali, che alla fine della sua esibizione del sabato al festival di Sanremo ha gridato ‘stop al genocidio’, rispondendo ad una domanda, con Mara Venier che sottolinea: ”Siamo tutti per la pace su questo non ci sono dubbi”.

“È da quando ho 13-14 anni che parlo di quello che sta succedendo nelle mie canzoni. Sono nato grazie ad internet e non è dal 7 ottobre che ne parlo, questa cosa va avanti già da un po’”.

L’artista ha poi commentato: “Il fatto che l’ambasciatore parli così non va bene, continua la politica del terrore, la gente ha paura di dire stop alla guerra, stop al genocidio, stiamo vivendo un momento in cui le persone sentono che vanno a perdere qualcosa se dicono viva la pace. Ci sono dei bambini di mezzo: quei bambini che stanno morendo, chissà quante star, quanti dottori, insegnanti, quanto geni, ci sono lì in mezzo”.

Le parole di Ghali risultano essere immense, non avrei mai pensato potessero generare così tante polemiche, a tal punto da mobilitare l’ambasciatore israeliano con un tweet e successivamente l’AD Rai con un comunicato fatto leggere ad una Mara Venier tutta affannata e preoccupata dopo aver affrontato una puntata burrascosa.

È da evidenziare che non c’è stata nessuna comunicazione ufficiale tra l’ambasciata e la Rai, è bastato un tweet per far correre ai ripari, sottolineando che ricordano ogni giorno gli ostaggi israeliani di Hamas.

Si ricorda pure ai telespettatori che la Rai si impegna nella lotta all’antisemitismo; un comunicato che arriva come un telegramma, senza contraddittorio e possibilità di replica, poiché arriva a fine trasmissione, sembra quasi un tentativo di porre fine alle polemiche sanremesi, ma sembra quasi l’inizio di una lunga battaglia sulla libertà di espressione.

Mai quanto oggi sembra essere importate imbavagliare gli artisti.

Ma le polemiche non si esauriscono con Ghali, a rincarare la dose arriva anche Dargen D’amico che durante “Domenica In” parla d’immigrazione e di quanto sia naturale condividere il pane con gli altri, del fatto che gli immigrati mettono molte più risorse e denaro di quanto ne spendiamo per accoglierli, parla di “bilancio in positivo dell’immigrazione”, parole che fanno alterare la Venier che, preoccupata di mantenere una determinata linea editoriale evitando temi spinosi, lo interrompe dicendo che è una festa e che si parla di musica.

Questo Festival Sanremo ci ha fatto capire che esiste altro che può far alterare il governo, oltre ai baci omosessuali di Rosa Chemical e Fedez: il conflitto Israelo-Palestinese e l’immigrazione.

Le ire di Pillon che riguardano gli outfit genderless di diversi artisti uomini passano nettamente in secondo piano di fronte alle dichiarazioni di Morelli.

DASPO MORELLI

Morelli sembra essere figlio dei doppi standard, si indigna dinnanzi le parole di Ghali ma si dimentica che l’anno scorso a Sanremo partecipò il presidente dell’Ucraina Zelensky, seppur inviando solo una lettera ai vertici Rai. Diversi politici avevano espressero le loro perplessità riguardo una sua partecipazione poiché si sarebbe dovuto occupare della sua Nazione e non del festival.

Alessandro Morelli, sottosegretario della Lega, uno dei fedelissimi di Salvini, senza fare riferimento alcuno a Ghali e Dargen, ha dichiarato: “Quello è il Festival della canzone italiana ed è vergognoso che venga utilizzato e sfruttato da chi dovrebbe solo cantare e invece fa altro: fa della propaganda politica.”

Poco dopo arriva una proposta surreale: “Sarebbe utile, a questo punto, pensare a una sorta di Daspo per chi utilizza quel palco per fini diversi da quelli della musica. Un artista lì fa musica, non fa politica.”

Questo Daspo secondo Morelli, dovrebbe valere per tutte le occasioni in cui si celebra la musica sulla Rai, perché aggiunge: “A quel punto bisogna essere in grado di starci, non lanciare slogan senza possibilità di contraddittorio”

Questa proposta sembra essere figlia di una semplice mania di protagonismo dimenticandosi completamente di che cosa sia la musica e di cosa sia l’arte.

È evidente che questa destra abbia un problema con l’arte, con gli attivisti e con la comunità Lgbtq+, ogni giorno ne danno riprova con le loro proposte (non dimentichiamoci del decreto rave, della legge contro gli attivisti e della legge contro la GPA), sembra una lotta contro le libertà e non un governo per gli Italiani.

Nelle ultime ore, infatti, assistiamo alle dichiarazioni del leader della Lega Matteo Salvini che ha rincarato la dose specificando che il “daspo” che colpirà gli artisti andrà dai 6 mesi a un anno.

PALESTINA COME VIETNAM

Oggi molti giovani, in tutto il mondo sembrano essere coesi, nel chiedere uno stop alla guerra, in quanto la reazione isrlaeliana è ormai diventata sproporzionata.

Questo non lo dico io, lo dicono i fatti, l’aumento delle manifestazioni contro la guerra ricordano gli avvenimenti nel periodo della guerra del Vietnam, in cui orde di giovani si schierarono in difesa dei vietnamiti reputando quel conflitto ingiusto e impari.

La guerra del Vietnam rappresentò un evento spartiacque che divise l’opinione pubblica a livello mondiale, esattamente come ora.

Fu un evento catalizzatore che portò a numerose manifestazioni e ad un cambio culturale.

SODALIZIO TRA MUSICA E POLITICA

La proposta del “daspo” ci fa pensare come ci si sia dimenticati di Woodstock, il più grande evento musicale e politico nella storia del ‘900. Un evento che divenne il simbolo nella storia del rock e della visione utopistica della vita secondo i cosìdetti “figli dei fiori”.

Durante l’evento si trasmettevano messaggi di comunità, voglia di lottare per la pace e fu lì che si parlò per la prima volta del concetto “Terzomondista”, i giovani all’epoca erano trasportati da sentimenti rivoluzionari e dalla voglia di opporsi all’imperialismo delle due superpotenze, USA e URSS, desiderosi di cambiare il mondo e di abbattere la segregazione razziale.

Lasciando perdere Woodstock, che probabilmente dai conservatori viene derubricato come un “Evento per sballarsi”, arriviamo ai Pink Floyd che, con testi come “Another Brick in the Wall” e “Money”, hanno toccato temi come il muro di Berlino e la povertà del Terzo Mondo; sarei proprio curiosa di assistere ad una conversazione nel Metaverso tra Morelli e Gilmour.

Ancora un altro artista: Micheal Jackson – Earth Song _ canzone scritta per la terra e per l’ambiente, in tempi in cui l’ambientalismo non era ancora preso sul serio e sembravano pochi fanatici a parlare dei danni ambientali. Ancora We are the World, una canzone dalla quale emerge un messaggio di pace e fratellanza; They Don’t care about Us, una canzone che parla di razzismo e ingiustizia sociale.

Senza andare oltreoceano, rimanendo in Europa abbiamo gruppi come gli Ska-p, band spagnola che emerge dalla classe operaia, con la canzone Canto a La Ribellion, parlano dei loro governi oppressivi, delle disuguaglianze e delle manipolazioni della comunicazione.

Vogliamo dimenticarci, poi, il nostro Fabrizio De Andrè?

Faber parlava degli ultimi, degli oppressi, dei poveri e delle prostitute. Nei suoi testi troviamo la massima espressione del senso di giustizia e denuncia sociale. Impensabile in quegli anni cantare di prostituzione e invece lui lo fece con Bocca di Rosa.

Ma la lista degli artisti che parlano di politica è infinita, da Jovanotti ai 99posse, passando per i Litfiba e Gaber, De Gregori…

Caro Morelli, caro Salvini, per i vostri compleanni è pronta per voi una playlist.

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