Scuola: perché la sfida del rientro ci riguarda tutti?

Ho sempre amato il mese di settembre. Per me sa di nuovo più del primo gennaio, che sa sempre di usato, di sgualcito, di birra sgasata e poche ore di sonno. Il primo giorno di scuola profuma di grembiuli, di carta nuova, di penne blu e penne rosse, di vestiti profumati preparati la sera prima.

È surreale che il sapore di questo rito ciclico sia stato inquinato da un tam tam mediatico che si protrae da mesi e che, in questi giorni, tocca il suo apice nel ministro dell’istruzione che si presenta in prima serata nello studio di Barbara D’Urso.

Una presenza che vuole essere rassicurante e che invece stride con i mille disservizi, i mille dubbi e le infinite paure che oggi provano tanti genitori e tanti docenti.

Innegabilmente il piano delle assunzioni lampo è fallito: il concorso straordinario è stato millantato per mesi come imminente, ma per ora l’unico passo in avanti è il bando per le commissioni d’esame. Le graduatorie per le supplenze sono state pubblicate, ma i numerosissimi errori nelle pratiche hanno reso complicate o impossibili le convocazioni provinciali degli aspiranti supplenti.

Molte le scuole superiori che aprono in regime di didattica digitale integrata, con una serie di lezioni da seguire da casa quando non è possibile la didattica in presenza: segno evidente, questo, che di spazi in più per gli studenti non se ne sono trovati.

La situazione non è facile: la mattinata scolastica è un orologio svizzero in cui deve filare tutto liscio, non ci devono essere contatti sospetti e non devono nascere momenti di promiscuità e assembramento.

A me viene spontaneo lanciare un appello a chiunque legga.

È il momento di raccogliere una sfida critica: ad affrontare problemi la scuola italiana è abituata, ma la riapertura in tempo di pandemia va decisamente oltre la definizione di difficoltà ordinaria.

Ecco perché la scuola non può farcela senza la collaborazione di ogni singolo studente e ogni singolo genitore: non cediamo alla tentazione di bypassare le regole, non mandiamo i figli a scuola con la febbre; mettiamo una mascherina di scorta nello zaino, fosse anche quella di stoffa; spieghiamo ai ragazzi perché quest’anno non si gioca a calcetto a ricreazione e perché non esisterà il compagno di banco. Quello che succede da oggi è rischioso, ma è per loro che affrontiamo il rischio. Se i bambini e i ragazzi non ne comprendono il senso, sarà stato tutto inutile già prima di cominciare e l’esperienza della scuola con la mascherina resterà nelle loro teste solo un ricordo fastidioso. Invece, deve essere la prima vera lezione di educazione civica.

Restiamo tutti in attesa di tempi migliori: sicuramente arriveranno. Per allora, facciamo tesoro dell’esperienza surreale degli ultimi sei mesi: si può non essere d’accordo sulle questioni politiche ed esistono tante idee diverse sulla scuola ma mai come oggi è chiaro quello di cui non hanno bisogno i nostri ragazzi.

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