#SOSColumbia: cosa c’è dietro le proteste?

Le manifestazioni iniziate il 28 aprile contro la riforma fiscale e un pacchetto di riforme strutturali, che sono al centro di un braccio di ferro tra governo e sindacati in corso ormai da anni, destabilizzano ancora una volta il Paese 

Diverse stazioni di polizia attaccate nella capitale Bogotà, proteste diffuse ormai a livello nazionale. Sono stati segnalati incidenti anche in altre città, compresa Cali, dove gli scontri sono stati tra i più violenti. A Cali, la terza città più grande del Paese, le strade sono state bloccate e decine di poliziotti, edifici pubblici e privati, ​​attaccati.

Il comandante dell’esercito è stato inviato in città per coordinare gli sforzi di sicurezza. L’Ufficio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha detto martedì 4 maggio di essere “profondamente allarmato” dalla violenza contro i manifestanti in città, condannando i fatti e affermando che “la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti”.

Secondo l’ONG Temblores, in Colombia, si registrano 1814 casi di violenza da parte della polizia: 278 vittime di violenza fisica, 39 violenza omicida, 963 arresti arbitrari, 356 interventi violenti, 28 violenze oculari, 111 feriti da arma da fuoco e 12 vittime di violenza sessuale e di genere. Inoltre si segnala la censura all’interno del Paese con l’interruzione della Rete internet.

LE PROTESTE

I colombiani sono scesi in strada il 28 aprile per protestare contro una controversa riforma fiscale introdotta dal presidente Ivan Duque, il quale la riteneva essenziale per un Paese che – a detta sua – ha bisogno di aumentare le entrate attraverso le tasse per essere in grado di spendere e per mantenere programmi sociali vitali come il sostegno in denaro per i disoccupati e le linee di credito alle imprese che lottano con la pandemia. Ma i critici hanno sostenuto che gli aumenti delle tasse, l’aumento dell’IVA sui beni di uso quotidiano, avrebbero un impatto sproporzionato sulle classi medie e lavoratrici e aumenterebbero la disuguaglianza nell’economia del Paese colpita dalla pandemia. La disoccupazione in Colombia è attualmente al 16%. Era del 9% prima dell’inizio del Covid-19, secondo il Dipartimento Nazionale di Statistica della Colombia.

Infatti la riforma tributaria prevedeva l’imposizione dell’IVA su prodotti alimentari di prima necessità come caffè, uova, farina di mais, oltre all’estensione delle imposte sui salari medio-bassi, sulle pensioni e i funerali. Erano inoltre previsti un aumento della benzina, nuovi pedaggi autostradali e tasse per la circolazione in moto. Tutte misure che avrebbero colpito direttamente l’economia della classe lavoratrice colombiana. In seguito alle prime manifestazioni, il 2 maggio il governo ha dichiarato il ritiro del progetto di legge della riforma tributaria che ha scaturito le dimissioni del Ministro delle Finanze il 3 maggio. Ma la rabbia popolare ha continuato a crescere, alimentata almeno in parte dalla risposta ferrea del governo alle proteste.

LA VIOLENZA

Sono diventati virali sui social i video di poliziotti antisommossa che usano gas lacrimogeni e manganelli contro i manifestanti, il dispiegamento di mezzi militari e delle vere e proprie scene di guerra nei quartieri popolari. Ma di fronte al proseguire delle manifestazioni la risposta statale è, appunto, stata la militarizzazione delle città.

Non a caso, Claudia Lopez, la sindaca di Bogotà appartenente al Partito Verde, ha chiesto l’intervento dell’esercito per le strade della capitale.

Inoltre il Centro Democratico, il partito di governo di Duque e di Alvaro Uribe Velez, capo del partito e indagato per i reati di corruzione, frode processuale e paramilitarismo, ha invitato il Presidente a dichiarare la Conmoción Interior, lo stato di emergenza che garantisce al presidente Duque poteri speciali per vietare manifestazioni, rimuovere governatori locali e controllare direttamente i mass media.

Organizzazioni multilaterali, ambasciatori stranieri e persino la pop star colombiana Shakira hanno rilasciato dichiarazioni di preoccupazione per la risposta delle forze dell’ordine. Le organizzazioni non governative per i diritti umani affermano che il bilancio reale delle vittime potrebbe essere molto più alto rispetto a quello ufficiale e hanno chiesto al presidente di impedire alla polizia di usare qualsiasi uso eccessivo della forza.

LA RIforma del sistema sanitario

A questo si aggiunge la preoccupazione per un altro progetto di legge attualmente in Parlamento: una riforma del sistema sanitario che aggrava la privatizzazione del sistema medico e peggiora le condizioni di lavoro del personale ospedaliero. Non è un caso che, nonostante il picco di contagi che si riscontra oggi in Colombia, i lavoratori della salute abbiano espresso solidarietà con le mobilitazioni, anche a costo degli inevitabili assembramenti, denunciando anche che in alcuni ospedali i lavoratori socio-sanitari sono in sciopero perché non vengono pagati anche per un anno intero.

Le attuali mobilitazioni vengono interpretate come il secondo atto delle rivolte popolari iniziate il 21 novembre 2019. Anche quelle proteste iniziarono con lo sciopero nazionale indetto dalle principali sigle sindacali per fermare le riforme che prevedevano la riduzione del salario minimo e nuove privatizzazioni del sistema pensionistico.

Come oggi, alle manifestazioni nazionali del 2019 aderirono organizzazioni studentesche, indigene, femministe, LGTBQ+ e di difesa dei diritti umani riuscendo a formare un ampio e variegato movimento di protesta contro il governo Duque. Questi movimenti denunciavano anche il mancato rispetto degli Accordi di Pace e la repressione nei confronti di chi difende i diritti umani. Un altro elemento comune con le mobilitazioni del 2019 è il sostegno dello storico Consiglio Regionale Indigeno del Cauca, una confederazione di organizzazioni comunitarie che si batte per la difesa delle terre e dell’autonomia dei popoli originari.

Inoltre, a inaugurare le manifestazioni dello scorso 28 aprile, sono stati attivisti del popolo Misak, che hanno abbattuto la statua del conquistatore spagnolo Sebastian de Belalcazar.

I diritti umani

Secondo Front Line Defenders, nota organizzazione che si batte da anni in favore dei diritti umani, conosciuta anche come The International Foundation for the Protection of Human Rights Defenders, delle 331 persone assassinate mentre difendevano i diritti umani nel mondo, nel corso dello scorso anno, ne sono state uccise  177 in Colombia. Già nel 2019, tra le principali rivendicazioni, c’era la fine degli omicidi di leader sociali e contadini, che ammontano a 57 solo in questi primi quattro mesi del 2021, così come degli assassinii e le sparizioni di ex combattenti Farc (22 dall’inizio del 2021), un’organizzazione guerrigliera comunista colombiana di ispirazione marxista-leninista e bolivariana fondata il 27 maggio 1964, che nel 2016 ha deposto le armi e firmato un accordo di pace. Quest’ultimo però è stato boicottato dal partito di governo Centro Democratico e non è mai stato rispettato dalle autorità statali.

la repressione delle proteste

La dura repressione delle proteste dell’ultima settimana in Colombia si colloca, dunque, in un contesto in cui il livello della violenza è costantemente alto ed è parte della politica governativa.

Sebbene si possa riconoscere una prima vittoria ottenuta tramite le intense manifestazioni di questa settimana con il momentaneo ritiro della riforma e le dimissioni del ministro delle finanze, il braccio di ferro con il Congresso e le leggi in corso di approvazione non è ancora terminato.

La mobilitazione ha preso la forma di un movimento di protesta contro il regime autoritario di Duque e Uribe che sembra destinato a crescere. Nonostante la brutale violenza e l’impunità delle forze di polizia e militari sia l’unica risposta che giunge dallo Stato, la popolazione colombiana continua quotidianamente a scendere in strada, a manifestare con una determinazione incrollabile. Così come le comunità colombiane all’estero che protestano denunciando l’attuale situazione nel loro paese d’origine sotto le sedi delle organizzazioni intergovernative, ambasciate e consolati del loro paese.

Duque ha chiesto un “dialogo nazionale” in cui il governo ascolterà le preoccupazioni della gente, compresi i leader sociali e i partiti politici, con una data provvisoria del 10 maggio, ma l’offerta non ha pacificato i manifestanti. Infatti decine di organizzazioni sociali, studentesche, sindacali, indigene hanno rilasciato un comunicato dove si annuncia il proseguimento dello sciopero a oltranza, chiedendo il ritiro di tutte queste leggi e un’inchiesta internazionale indipendente sulle violazioni dei diritti umani.

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