Sport: educazione, esempio e valori

Il “caso Acerbi” – squallida presunta vicenda di insulti razzisti fra calciatori in campo – di cui si è dato conto anche su questa rivista il 28 marzo scorso, suggerisce alcune ulteriori considerazioni.

E’ di pochi giorni fa la notizia di un genitore che, nel corso di una partita di bambini, ha aggredito fisicamente l’allenatore colpevole di avere sostituito, nel corso della gara, il figlio con un altro piccolo calciatore.

Fin troppo scontato appare il commento secondo cui non è questo lo spirito con cui ci si deve approcciare allo sport, che deve essere, al contrario, sano agonismo esercitato nel rispetto degli avversari, dei compagni di squadra e, con riferimento a chi è spettatore, di tutti gli attori in campo.

Ma questa considerazione non è sufficiente. Quel genitore ha compiuto, nei confronti del figlio, un gesto fortemente diseducativo. Si tratta di un gesto che può solo alimentare nel bambino quel senso di competitività esasperata e di affermazione dell’ego da perseguire a ogni costo e a danno di chiunque. Di tali atteggiamenti vediamo esempi quotidiani e costantemente in aumento, non solo nello sport ma anche nella politica e in qualsiasi altro contesto della vita quotidiana. La società odierna è purtroppo divenuta, sotto tale profilo, un’autentica giungla, ma almeno evitiamo di instillare certi germi venefici nei bambini.

Chiudo queste brevi considerazioni con un ricordo. Negli anni ’80 Rud Gullit, talentuoso attaccante del Milan, era nell’area avversaria nel corso di un’azione di gioco quando un difensore dell’altra squadra fece un autogol. Gullit, anziché esultare come ci si sarebbe aspettati – in fondo quello era un gol valido per il Milan – corse ad abbracciare e consolare il difensore comprensibilmente dispiaciuto per l’errore commesso.

Questo dovrebbe essere lo sport e questa dovrebbe essere la nostra vita quotidiana.

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