“Tutte le vite che ho vissuto”, il romanzo d’esordio di Luigi Marcus Greco

Chi non legge vive una sola vita, chi legge ne vive infinite, così come chi scrive: “Tutte le vite che ho vissuto” è un romanzo storico e familiare, una sorta di epopea dinastica scritta da Luigi Marcus Greco, autore esordiente ed entusiasta. Classe 1992 e calabrese doc (è nato a Cosenza nel 1992), Luigi approda a Roma nel 2014 per studiare filologia classica. La scrittura e la lettura sono da sempre le sue grandi passioni e le coltiva diligentemente. È solo dopo la laurea, però, che nasce l’idea di “Tutte le vite che ho vissuto”, in seguito a un evento che, di colpo, gli fa realizzare l’importanza di trattenere le memorie familiari. Comincia così un percorso di ricerca e di scrittura lungo e faticoso, che Luigi svolge in parallelo al suo lavoro di insegnante e che si conclude con la pubblicazione del romanzo presso l’editore “L’Erudita”.

Luigi, da dove viene la scelta di questo genere letterario?

-Luigi – A me piace pensare che questo romanzo sia stato mio figlio. E uso il passato perché, proprio come una madre fa con un figlio, l’ho creato, l’ho portato dentro e l’ho partorito ma, come ogni bambino, ha smesso poi di essere “mio” ed è diventato del mondo, vivendo una vita propria. Tuttavia, anche se ormai questo “bambino” non è più solo mio, sono stato io a darlo alla luce e ti assicuro che è stata una gravidanza lunga e travagliata. Lunga, perché è  durata due anni; travagliata, perché nasce da un grandissimo dolore, la morte di mia mamma. È  stata quella la scintilla che ha innescato il processo di scrittura, in seguito alla necessità di affrontare un trauma (d’altronde, era Petrarca a dire che il dolore è lenito dal “canto”) e al desiderio di impedire che quella perdita fosse totale. Dovevo scrivere la storia di mia mamma e, insieme alla sua, quella di tutte le sue antenate, di tutti i miei antenati, per far sì che nulla si perdesse, che tutto fosse consegnato all’eternità della pagina scritta.

Quanto hanno influito i tuoi studi nelle tue scelte narrative?

Io divoro libri da quando avevo sette anni. La pagina scritta è sempre stata un mondo affascinante per me ed è  anche per questo che ho deciso di studiare filologia: ho iniziato a “studiare” i testi che prima mi limitavo soltanto a leggere, per carpirne i segreti più profondi. Immagina la mia sorpresa nello scoprire che un mio antenato, un monaco vissuto nel Trecento, era un monaco cistercense che copiava manoscritti nel chiuso della sua cella… è chiaro che, nel raccontare questa storia, ad esempio, le mie conoscenze e i miei studi sono stati determinanti. Questo è  quanto concerne la mia formazione. Se parliamo, invece, di scelte narrative, allora devo dire che, con la mia umile anfora di terracotta, ho attinto a diverse fonti: da Flaubert a Bronte, da Dickens a Austen, da Verga a Manzoni alla Fallaci, tutti hanno partecipato al concepimento e alla formazione di questo romanzo.

La storia veramente centrale del romanzo è quella di Gabriele e Francesco: il loro è un amore davvero dirompente e solido, al di là di ogni convenzione e della natura effimera delle epoche storiche. Parlaci un po’ di loro…

Credo di non fare torto alle altre coppie del romanzo, se dico che quella di Gabriele e Francesco è  la storia d’amore più bella fra quelle raccontate. Forse è il fatto che sia un amore impossibile a renderla così avvincente e “vera”, o forse è la forma in cui è presentata, a metà fra il narrativo o l’epistolare. Ad ogni modo, quello che viene fuori è un amore straordinario, fatto di rinunce, di lontananza forzata, di sacrifici, di vergogna. Nell’era dell’amore liquido, storie del genere sono sempre più rare: adesso l’amore si nutre di presenza, di condivisione, di socialità. Quello di Gabriele e Francesco, invece, è un sentimento alimentato dall’assenza, dalla distanza fisica, dall’impossibilità di condividere qualunque cosa pubblicamente. I loro destini sembrano intrecciarsi sin dalla loro nascita e culminare nella loro morte, che finisce per suggellare in modo indissolubile questa straordinaria unione. E qui conviene che mi fermi, altrimenti rischio di dire troppo!

Quale messaggio vorresti trasmettere ai tuoi lettori, in particolare ai ragazzi, dato che sei anche un insegnante?

Il romanzo affronta così tanti temi che pensare a un unico messaggio è  difficile, se non impossibile. “Tutte le vite che ho vissuto” si presta davvero a diverse chiavi di lettura: l’amore, ad esempio, è declinato in molteplici forme. In alcune storie è un sentimento limpido, in altre è un veleno che intossica, in alcune è una passione impetuosa; in altre ancora, si esprime attraverso la tenerezza più pura che ci sia. E potrei seguire tantissime altre linee tematiche: il mare, per dirne una, per alcuni personaggi del romanzo è una risorsa inestimabile, per altri una maledizione; ad alcuni fa paura, ad altri ispira libertà. Forse, l’unico filo conduttore, in una tale complessità di temi e di trame, è l’ineluttabilità del destino che riesce sempre a compiersi, nonostante tutti cerchino di contrastarlo o di cambiarlo. Tuttavia, come ti ho detto, ci sono così tante chiavi di lettura che mi piace lasciare a ciascuno la libertà di trovare la propria. Del resto, Fitzgerald scriveva che il bello della letteratura non è che la possibilità che abbia uno scopo, ma la certezza che essa ci aiuta a scoprire che i nostri desideri sono universali e che non siamo soli.

Che progetti hai per il futuro?

Nonostante mi fossi imposto di prendermi una piccola pausa dopo questa lunga “gravidanza”, per ricaricarmi e trovare la giusta ispirazione, non appena il romanzo ha visto la luce ho ripreso carta e penna e buttato giù lo scheletro del prossimo. Il concept è più moderno: tratterà della scuola, un mondo che conosco e che vivo in prima persona da anni, perché il mio lavoro si svolge proprio lì, tra le pareti di un liceo di Roma. Anche se è ancora agli inizi, posso dire che sarà un romanzo molto diverso da “Tutte le vite che ho vissuto”: parlerà del presente e avrà un impianto corale, nel quale si intrecceranno le storie di alunni e insegnanti alle prese con i piccoli e grandi drammi quotidiani, le reciproche difficoltà di comunicazione e il desiderio di trovare un posto nel mondo. La città di Roma farà da sfondo al racconto.

E più in là? Come ti vedi da qui a dieci anni?

Quando mi chiedono perché scrivo, rispondo sempre che scrivere per me è un’esigenza dell’anima, non un lavoro. Quello già ce l’ho e lo amo. Se avessi voluto guadagnare scrivendo, probabilmente mi sarei buttato sui fumetti. Perciò, tra dieci anni spero solo di aver preservato la capacità di emozionare gli altri e, magari, di aver allargato un poco il mio pubblico di lettori. È vero che la scrittura è un esercizio dell’anima, ma è altrettanto vero che l’unica cosa che scriviamo per noi stessi è la lista della spesa. Ogni altra cosa che si scrive, si scrive per dire qualcosa a qualcuno.

Prossimi appuntamenti con “Tutte le vite che ho vissuto”?

Abbiamo in progetto altre presentazioni nei mesi di giugno e di luglio, sia a Roma che in Calabria, ma ancora non posso dire nulla. Per tutti gli aggiornamenti su eventi, incontri e pubblicazioni, tenete d’occhio la pagina “Luigi Marcus Greco –  scrittore” e il sito web www.luigimarcusgreco.com

1 commento

  1. Come vorre che tua mamma fosse qui, mia cara amica che porterò sempre nel cuore. Bravo Liugi, complimenti lei da lassù vegliera sempre su di te ❤️

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