Tutto chiede salvezza, e noi?

“Non sono in grado di fare nulla”

“Sono insicuri” 

“Vivono nella paura” 

Comincia così l’incontro tenutosi durante Più Libri più Liberi – fiera della media e piccola editoria in cui Daniele Mencarelli, vincitore del Premio Strega Giovani nel 2020 e autore del romanzo Tutto chiede salvezza dialoga con l’attore, attivista per i diritti LGBTQIA+ e autore del podcast EclissiPietro Turano.

Comincia raccontando con delicatezza che cosa rappresenti per lui avere a che fare con i giovani e affrontare il tema del disagio, della salute mentale, della (ri)scoperta di sé; tiene a cuore sottolineare che proprio quella gioventù sfaldata, lacerata e – per certi versi – ridotta ai minimi termini è la stessa che (inconsciamente) restituisce sempre uno spunto, un pensiero, un’utopia a cui aggrapparsi.

Mentre il mondo degli adulti fa la guerra alla libertà che i giovani indossano come un profumo, e di cui si fanno portavoci, dentro di loro si innesca la consapevolezza del bisogno di essere salvati e/o di salvarsi attraverso l’accettazione di sé e di quei limiti contro cui ci insegnano a creare gli anticorpi, a combattere tutta la vita.

E quando (non) è la vita a vincere?

Insicuri.

Inadeguati.

Svogliati.

Impauriti.

Malati.

Di cosa parliamo quando parliamo di salute mentale?

Di cosa parliamo quando parliamo di essere umano?

Di cosa parliamo quando parliamo di essere normale?

La tematica della salute mentale risuona stridendo; da un lato scivola la rassegnazione che non ci sia mai uno spazio adeguato che le restituisca l’importanza significativa che rappresenta, dall’altro si promuove una sensibilizzazione mai stanca, mai assente, mai mancante, nonostante il rifiuto incessante della società in cui ci troviamo a vivere.

Ma cosa significa davvero essere sani e cosa determina come malattia ciò che la nostra mente, in base a contesti, luoghi, circostanze di vissuto, ripropone sotto forma di pensieri, atteggiamenti e modalità di (r)esistenza? Quanto si determina come quotidiano individuale e poi universale?

«La vera pazzia è non cedere mai. Non inginocchiarsi mai»

Quando si parla di salute mentale si divide immediatamente la natura sociale in due macro gruppi: i sani e i malati. E lo si fa per cultura abitudinaria. In seguito, potremmo essere meno ipocriti e avere il coraggio di essere più realisti, consci che la maggior parte propenderà per definire i normali gli anormali; rimarcando prepotentemente quella linea di confine che tiene ben lontane le due fazioni, senza sentire il bisogno di approfondire, di andare oltre le risposte che siamo abituati a spargere come foglie al vento. Per questo motivo sarà più facile distaccarsi, lasciar indietro, non curarsi e – in questo modo – non crescere; come se non tenendo conto di alcune sfumature, esse svaniscano di conseguenza, si dimentichino e, un giorno, facciano parte di una memoria da cui ci si è anestetizzati.

Avere a che fare con la salute mentale significa — in primo luogo –, avere a che fare con se stessi; significa slegarsi dal tabù che la debolezza sia il presupposto di un fallimento senza scampo, una colpa vergognosa di cui nessuno dovrebbe macchiarsi.

Chiedere aiuto assume una connotazione negativa: ci sono delle regole da seguire per poterlo chiedere e ognuno ha un ruolo ben definito entro cui potersi muovere.

Ma gli esseri umani sono al di là dei ruoli che possono scegliere (volutamente e non) di interpretare, assecondare, assolvere nella vita e il benestare della propria emotività, così come della propria fragilità sensibile, dovrebbe essere un argomento di cui neanche dovremmo parlare.

L’essere umano ha bisogno di parlare.

L’essere umano ha bisogno di cedere.

L’essere umano ha bisogno di frantumarsi.

E poi ricostruirsi tramite istituzioni, figure di riferimento che siano preparate ed empatiche nell’affrontare tematiche tanto delicate, friabili tra le nostre mani poco attente alla delicatezza del toccarsi. Significa scarnificare le convinzioni che ci sono state cucite addosso perché etichettate come giuste; approfondire i lembi della propria carne, rappresenta un’umanità contraria all’omologazione. È la rivoluzione di chiunque non si senta di appartenere e al tempo stesso non lasci cadere nella vuotezza di parole e definizioni altrui ciò che lo compone, che lo raffigura, che lo identifica come essere unico. La salute mentale è una consapevolezza che va educata al raggiungimento funzionale di essa; liberandosi dal senso di colpa che appare conseguenziale alle considerazioni di questo fantomatico mondo che definiamo normale.

Mi chiedo spesso cosa significhi essere normale e durante la presentazione mi guardo intorno, mi muovo lentamente per paura che si noti il disagio che provo nell’ascoltare quelle verità così semplici e banali in apparenza; eppure con una certa sorpresa, noto che il pubblico è misto: non solo giovani disastrati, non solo adulti rassegnati, non solo anziani arrabbiati.

In fin dei conti siamo tutti lì; ognuno con le sue disperazioni, con la paura di (non) appartenere mai a niente e nessuno, con la consapevolezza che dei nostri cuori strappati possiamo farne le pagine più significative della nostra vita. È la dimostrazione che tutto chiede salvezza, anche quando non sa come dirlo. Pietro Turano prende il microfono per l’ultimo intervento, l’ora è scaduta e siamo tutti pronti a rincorrere gli impegni che ci aspettano: “Luca Guadagnino, in seguito ad una domanda che gli venne posta, rispose che l’utopia è l’esercizio del possibile.”

Sento le lacrime bagnarmi le guance, mi ricordo che nonostante tutte le discrezioni che si insegnano, commuovermi senza tener conto di chi possa guardare, rimarrà sempre irrinunciabile e penso che la vera salvezza sia trovare qualcuno disposto tanto ad ascoltare le nostre parole, quanto a renderci le sue senza dover imparare a difendersi.

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