USA: rischio default tecnico entro inizio giugno. Il Tesoro si appella al Congresso

Negli USA si inasprisce – capita sovente a Washington – la battaglia parlamentare tra Democratici e Repubblicani sull’innalzamento o la sospensione delle soglie del debito pubblico federale (c.d. Debt ceiling), materia di competenza del Congresso. E’ un vecchio braccio di ferro che domina periodicamente la politica statunitense, soprattutto quando il Congresso vede la dominanza delle camere divisa tra i due partiti.

Questa volta, però, ad allarmare è il default tecnico: vi è il concreto rischio che il Dipartimento del Tesoro non riesca già dal 1° giugno (al massimo qualche giorno dopo) a far fronte ai pagamenti dei crediti ed obbligazioni di Stato. E c’è da crederci se l’allerta proviene dal Segretario al Tesoro Janet Yellen, con lettera indirizzata proprio al Congresso.

Nell’esercizio 2023 (i.e. da ottobre 2022 fino ad aggiornamento dell’aprile 2023) – si legge da report dell’estratto conto federale – il Tesoro ha avuto entrate per 2.687 mld$, spese per 3.611 mld$, accumulando un deficit sui pagamenti pari a 925 mld$ (25% ca. della spesa). Interessante notare come il 52,5% delle entrate sia stato costituito da gettito fiscale su singoli, il 34,4% da sistema pensionistico e con molto distacco per il solo 8,2% (3^ posizione) da tassazione dei redditi d’impresa. Circa le spese, le voci principali sono state orientate alla previdenza sociale (11,6%), sanità (14,2%), difesa (12,9%) e con molto distacco istruzione (4,3%) e trasporti (1,8%); ricordiamo che gli USA non sono un welfare-state sul modello social-liberale europeo e quindi siano usi allocare la loro spesa pubblica diversamente da come un nostro lettore intuirebbe.

Gli interessi pagati dal tesoro sono ammontati a 364mld$ (10,1% delle spese, il 39,4% del deficit accumulato).

Il deficit atteso da budget per l’intero esercizio 2023 (ottobre 2022-settembre 2023) è pari a 1.569 mld$.

Sebbene un estratto conto del Tesoro non dica nulla sul generale importo degli investimenti federali nel tempo, dà comunque uno scadenzario chiaro dei capitoli di incasso e spesa governativi: le entrate sono influenzate da elevati redditi sulle famiglie e un notevole alleggerimento verso le imprese, mentre le spese sono più equamente distribuite nella priorità, con in cima welfare e previdenza. E’ facile immaginare uno sbilanciamento entrate-uscite originato dai contrastanti orientamenti politici repubblicani e democratici.

Attualmente il Tesoro opera con misure contabili speciali, dando fondo ai conti detenuti presso la FED, che da monitoraggio Bloomberg sarebbero pressoché esauriti: solo negli ultimi 12 mesi si è dato fondo a 810 mld$. Arrivare agli inizi di giugno senza risolvere la situazione, commenta la Yellen, avrebbe serie conseguenze sulla fiducia di imprese e consumatori.

Il tetto del debito è stato normato la prima volta nel 1917: prima di allora ogni singola spesa pubblica federale doveva essere autorizzata (e quindi prima discussa) dalle due camere. Furono le ingenti spese militari del primo conflitto mondiale a spostare l’autorizzazione su un tetto di spesa forfettario che rendesse più libero il Tesoro di far fronte ai pagamenti.

Dal 1960 la soglia è stata innalzata 80 volte, di cui tre sotto la presidenza Trump, aggiungendo 8.000 mld$. Più recentemente, la soglia massima era già stata già ritoccata a gennaio, portata a 31.400 mld$.

L’economia statunitense è, peraltro, già gravata da una crisi bancaria (e di fiducia dei risparmiatori) iniziata con SVB, dall’inflazione e da un paventato rischio recessione, la cui paura è stata confermata il giorno 11 maggio sempre dalla Yellen al vertice dei ministri delle finanze e dei banchieri centrali a Niigata, in Giappone, aggiungendo che un default tecnico <<minaccerebbe i guadagni per i quali abbiamo lavorato così duramente negli ultimi anni per riprenderci dalla pandemia e scatenerebbe una recessione globale che ci riporterebbe molto indietro>>.

Capital Group, citato da WeWealth, commenta come le probabilità del default tecnico si aggirino tra il 5% ed il 10% e prova ad ipotizzare cosa accadrebbe in assenza di risoluzione: i mercati andrebbero in subbuglio ed il dollaro perderebbe lo status di valuta di riserva globale. Eppure gli effetti di un simile scenario si ripercuoterebbero essenzialmente nel breve periodo, con una volatilità repentina, sì, ma di qualche giorno, con la conseguenza – già più rosea – che l’impatto sui risparmi degli investitori nel medio periodo sarebbe limitato.

L’allerta sembra quindi avvertita dai mercati monetario ed obbligazionario, non ancora azionario, dove si investe generalmente nel medio periodo.

Le conseguenze più negative sarebbero un downgrade dei bond statunitensi, con conseguente aumento del costo delle emissioni di debito pubblico USA in futuro e – nel caso peggiore – la perdita da parte dei titoli del Tesoro USA della reputazione di security a basso rischio. Ricordiamo che i maggiori detentori dei titoli USA sono Giappone e Cina.

Altra conseguenza, contemplata al momento dai mercati obbligazionario e monetario, è un’iniziativa della FED per tagliare i tassi.

La palla è in mano alla politica, che tuttavia non sembra voler collaborare: i repubblicani osteggiano l’aumento del debito pubblico, proponendo tagli alla spesa per complessivi 4.500 mld$ come condizione per negoziare un aumento della soglia di 1.500 mld$. I Democratici, invece, propongono misure di inasprimento fiscale verso super-ricchi e grandi aziende, separando le misure di bilancio e volendo espandere il deficit a favore di spese nel welfare e nell’energia da fonti rinnovabili.

La Camera, a maggioranza democratica, aveva dato il via libera all’aumento il 27 aprile, ma le resistenze si sono verificate in Senato, a guida Repubblicana.

Il Presidente della Camera Kevin McKarthy ha ammesso che le trattative parlamentari fossero distanti da un punto di accordo, ma uno spiraglio di luce potrebbe verificarsi alla fine della settimana, con un paio di persone nominate dal Presidente Biden per accelerare le negoziazioni.

In alternativa, Biden potrebbe appellarsi al 14° emendamento della Costituzione per aggirare l’ostacolo parlamentare. Ma tale soluzione richiede i tempi dei costituzionalisti.

Per la prossima settimana si attende un’audizione della Yellen in Senato sulla situazione.

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